La Cassazione: il manager può essere licenziato anche se non c’è crisi

30 Dic 2016 10:33 - di Redazione

Il licenziamento del manager può essere legittimo anche quando i conti dell’impresa sono buoni, la crisi non è all’orizzonte e non ci sono spese straordinarie da sostenere, se la “soppressione” della sua posizione lavorativa è funzionale a un nuovo assetto riorganizzativo che, oltre a determinare una migliore efficienza può anche accrescere i margini di guadagno del datore di lavoro che sono pur sempre una “garanzia” per la tenuta generale dei livelli occupazionali complessivi di una azienda. Lo sottolinea una sentenza della Cassazione.

La vicenda processuale 

Lo scorso 7 dicembre aveva accolto il ricorso di un resort di lusso della Toscana contro la decisione della Corte di Appello di Firenze che aveva giudicato illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo con il quale era stato estromesso uno dei manager al quale la corte fiorentina – diversamente dal giudice di primo grado – aveva riconosciuto il diritto ad ottenere quindici mensilità. Invece, secondo il tribunale il licenziamento era legittimo in quanto «effettivamente motivato dall’esigenza tecnica di rendere più snella la cosiddetta catena di comando e quindi la gestione aziendale».

La Cassazione ha ribaltato la sentenza d’appello

Un punto di vista non condiviso dalla Corte di Appello che ha ritenuto non sufficiente la dimostrazione dell’effettività della riorganizzazione in mancanza della prova, da parte del datore, dell’esigenza di fare fronte a uno stato di crisi o a spese straordinarie. In poche parole, secondo la corte di secondo grado, il licenziamento era mascherato dalla foglia di fico del riassetto di impresa ma in realtà era motivato solo «dalla riduzione dei costi e, quindi, dal mero incremento del profitto». Questa motivazione non è stata condivisa dalla Cassazione. cI giudici hanno disposto l’annullamento con rinvio del verdetto che aveva stabilito che di licenziamento illegittimo si trattava con diritto a quindici mensilità. Ora la Corte di Appello dovrà rivedere la sua decisione. E tenere in considerazione, anche solo per riformulare le motivazioni, i principi fissati dalla Cassazione.

La legittimità del licenziamento individuale

«Ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della I. n. 604 del 1966, l’andamento economico negativo dell’azienda – afferma la Cassazione – non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare ed il giudice accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile escludere quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività dell’impresa, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa».

La causale addotta dall’imprenditore

«Ove però il licenziamento sia stato motivato richiamando l’esigenza di fare fronte a situazioni economiche sfavorevoli ovvero a spese notevoli di carattere straordinario ed in giudizio si accerti che la ragione indicata non sussiste, il recesso – conclude la massima di diritto della Suprema Corte – può risultare ingiustificato per una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità e sulla pretestuosità della causale addotta dall’imprenditore».

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