Contro il sindaco di Amatrice già avviata la “macchinetta del fango”

29 Ago 2016 14:07 - di Redattore 54

Il suo motto? “Barcollo ma non mollo”. Lo sottolinea Il Fatto, presentando al suo pubblico Sergio Pirozzi, sindaco di Amatrice. Poi, sempre Il Fatto, ricorda che il “vivace e sanguigno” sindaco ha ricevuto la visita di Gianni Alemanno (avrà visto e sentito decine di politici, ma tant’è). Poi, ancora Il Fatto, trae le conclusioni: “uomo tosto, di destra…”. Quindi Pirozzi – ricercatissimo dai media in questi giorni e in queste ore – viene intervistato dal Tempo. Titolo: “Sono di destra. Non piace? Me ne frego”. In realtà lui questa frase, almeno a leggere l’intervista, non l’ha detta. Ha detto invece una cosa saggia: “Scusate ma ho cose più importanti da fare che pensare a delle polemiche stupidissime”.

Già, le polemiche. Perché l’Italia è il Paese delle lacrime e delle polemiche. E forse per il presenzialismo di questo sindaco battagliero, forse perché qualche testata incauta ha rivendicato il suo essere “camerata”, forse per tutte e due le cose, si è messa in moto una “macchinetta del fango” che stride con il sentimento di solidarietà che dovrebbe appartenere a tutti gli italiani in questo doloroso frangente. Pretesto: l’indagine, sacrosanta, sulla scuola di Amatrice ristrutturata nel 2012 e per metà disintegrata dal sisma del 24 agosto. Repubblica oggi ci fa il titolo di prima pagina. “Il costruttore della scuola: il sindaco sapeva tutto”. Tutta colpa di Pirozzi, dunque, il “tosto di destra”? All’interno due interviste, una al costruttore, l’altra al sindaco di Amatrice. Il costruttore che ha eseguito i lavori fa lo scaricabarile: “Nessuno mi ha chiesto l’adeguamento sismico, il sindaco sapeva tutto”. Il sindaco replica che lui non fa il tecnico, che in quella scuola ci vanno anche i suoi figli. Il giornalista incalza: “In quattro anni che cosa avete fatto per mettere in sicurezza le aree a rischio?”. Al sindaco, secondo Repubblica “trema la voce”, addirittura chiede ai carabinieri di cacciare i giornalisti. Poi se ne va in riunione e, particolare importante, gli tremano anche le mani… Un processo in piena regola. Tacciono i pm, ma parlano i giornali. E guarda caso l’imputato è il sindaco “tosto di destra”. Poi si scopre, leggendo il Messaggero, che la questione è molto complessa: le gare per ristrutturare la scuola furono due, una per l’adeguamento sismico di una parte dell’edificio (163mila euro) e una per il miglioramento generale della struttura, danneggiata dal terremoto dell’Aquila. Hanno rifatto gli impianti di riscaldamento, i bagni, la messa a norma delle finestre, i pavimenti. Nessuno spreco, almeno questo dice il titolare della ditta che ha vinto l’appalto che aggiunge: “nella scuola le cose da migliorare erano molte”. E non solo in quella scuola, come tutte le famiglie d’Italia sanno. Il “processo” a Pirozzi va a sbattere contro il muro del buonsenso. I soldi furono utilizzati per migliorìe nell’edificio e non solo per l’adeguamento antisisimico. Questo è quanto. Poi se la vedranno i magistrati, ma al momento Pirozzi non è indagato. E la scuola, è bene ricordarlo, è crollata ma nessuno è rimasto soto le macerie (per fortuna l’anno scolastico non era ancora iniziato). Perché allora questa frenesia di addossare il disastro colposo a un uomo che si sta dando da fare per far rinascere la sua comunità (come gli altri sindaci colpiti del resto)? Sta agendo, a quanto sembra, un mix di pregiudizio ideologico e di stupidità. L’inchiesta è alle prime battute, ma l’ansia di dare in pasto un capro espiatorio si riversa sul sindaco del “boia chi molla” (un copione già scritto in Italia e a proposito di altre tragedie). Una cosa molto grave. Una cosa inaccettabile. Le categorie di destra e sinistra non dovrebbero entrare nella reazione di una collettività nazionale alla tragedia. Pirozzi non ha fatto nulla per farcele entrare. Ma la trappola ideologica si è messa lo stesso in movimento e lo sta accalappiando. Proprio lui che a nemmeno un’ora dalla prima scossa chiedeva in tv a gran voce i soccorsi per i suoi concittadini sotto le macerie, commuovendo magari quelli che ora sono pronti a scagliare la pietra.  Questa storia è un ulteriore crollo, sia pur metaforico, della credibilità di un Paese incapace di portare il lutto unito per più di 24 ore. Fermatevi, finché siete in tempo. I morti di Amatrice non sono ancora stati sepolti. E ci sono troppi avvoltoi in circolazione. Troppi.

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