Brasile, sì all’impeachment per la Roussef. Sfiorata la rissa in Parlamento
La Camera dei deputati brasiliana ha approvato, al termine di una maratona cominciata venerdi’ scorso, l’apertura di un procedimento di impeachment nei confronti della presidente di sinistra Dilma Rousseff, il cui mandato scade nel 2018. Il governo ha ammesso la sconfitta prima del raggiungimento del quorum di 342 voti, quando i sì erano 304 contro 107 no. «Le possibilità di invertire il trend sono pari a zero, daremo battaglia al Senato», ha annunciato il capogruppo alla Camera del Partito dei lavoratori, José Guimaraes. Al momento del raggiungimento del quorum è esplosa la gioia tra i deputati di opposizione e tra i militanti radunatisi davanti alla Camera e nelle strade di numerose città, dove erano stati allestiti maxi schermi. Una tv ha paragonato l’esplosione di gioia con quella della vittoria di un mondiale di calcio. Sconforto e lacrime invece tra i sostenitori del governo. E una ”grande delusione” anche per Dilma e Lula, che hanno assistito alla votazione nella biblioteca del palazzo presidenziale di Brasilia, assieme ad alcuni ministri e governatori del Pt. È stata una votazione ad altissima tensione, al termine di una sessione durante la quale a tratti si è sfiorato anche lo scontro fisico tra i deputati a favore e quelli contrari alla destituzione del primo capo di Stato donna della maggiore economia sudamericana. Si tratta di un voto storico dal forte valore politico e simbolico, ma non ancora definitivo. L’iter è infatti ancora lungo: il procedimento deve ora passare al vaglio del Senato, dove il presidente Renan Calheiros dovrà istituire una speciale commissione incaricata di decidere se accogliere o meno la proposta. In caso positivo, l’impeachment sarà votato dall’aula. La presidente avrà poi fino a 180 giorni di tempo per difendersi davanti ai giudici della Corta costituzionale. E, infine, il Senato dovrà votare una seconda volta, dopo aver ascoltato la difesa della presidente. Solo in caso di voto favorevole, a maggioranza dei due terzi degli 81 senatori, Dilma Rousseff decadrebbe dall’incarico e il vice presidente Michel Temer, che assumerebbe l’interim durante i 180 giorni di sospensione della presidente, si insedierebbe ufficialmente. L’impeachment della presidente Rousseff ha un solo precedente nella storia del Brasile post dittatura, quello di Fernando Collor de Mello, che si dimise prima del voto del Senato travolto dalle accuse di corruzione. Dimissioni escluse, almeno per il momento, da Dilma, che ha annunciato l’intenzione di volersi battere ”con tutte le forze” contro quello che definisce ”un golpe contro il governo democraticamente eletto”. Dilma, come ha ammesso anche il leader dell’opposizione, Aecio Neves, da lei sconfitto alla presidenziali del 2014, paga soprattutto “per la sua incapacità di governare il Paese”, alle prese con una grave crisi economica che lo ha portato alla recessione. Ad incrinare l’immagine dell’ex guerrigliera marxista di origine bulgara anche gli scandali di corruzione che hanno decapitato i vertici del suo Partito dei lavoratori ed hanno coinvolto direttamente anche l’ex presidente Lula, suo mentore politico (con la Roussef nella foto). Due fattori che hanno convinto gli alleati centristi a voltarle le spalle e a stringere accordi con la destra per governare il Paese. Un golpe bianco, secondo Dilma. Il vice presidente Temer è convinto che l’impeachment passerà anche al Senato ma rischia anch’egli una analoga procedura, che spianerebbe la strada al presidente della Camera, Eduardo Cunha, che Dilma ritiene essere il suo vero sicario politico. Cunha è coinvolto in numerosi procedimenti giudiziari per presunta corruzione e un suo governo, hanno messo in guardia sindacati e movimenti sociali, innescherebbe forti tensioni sociali nel Paese. Per questo motivo, il Pt sta cercando di raccogliere il maggior numero di adesioni alla proposta di elezioni anticipate, che comincia ad essere vista con favore anche da alcuni dei 25 partiti presenti in parlamento.