Passerella della terrorista nel carcere dedicato all’agente ucciso dal suo gruppo
“Qui Prima Linea. Abbiamo ammazzato Giuseppe servo dello stato. Seguirà un comunicato”. Due colpi alla testa, due al braccio, quattro al torace, due all’addome. Quanto basta per farlo scivolare a terra, per sempre, con le chiavi dell’auto ancora strette in una mano e un ultimo pensiero per la moglie Rosa e i figli piccoli, Daniele, due anni, e Domenico, otto mesi. Giuseppe Lorusso, 30 anni, agente di polizia penitenziaria di stanza al carcere La Valletta di Torino, nato a Potenza ma trasferitosi al nord per motivi di lavoro, fu barbaramente ucciso alle 7.20 del 19 gennaio 1979 da un commando di terroristi di Prima Linea, l’organizzazione militare guidata da Sergio Segio, che con le Brigate Rosse seminò morti e feriti negli anni di piombo. Come ha ricostruito l’associazione vittime del terrorismo, l’agguato fu commesso da due uomini che scesero da una 128 rossa (altri due restarono in macchina) e che gli spararono con due pistole calibro “38 special” tutti i colpi dei caricatori. Fu il segnale che i terroristi diedero ai secondini di Torino nei giorni in cui, in quel carcere, scoppiava la rivolta per chiedere condizioni migliori.
La visita dell’ex Prima Linea ne carcere intitolato a Lorusso
A Giuseppe Lorusso è stato riconosciuto lo status di “Vittima del Dovere” e nel 2004 gli è stata conferita la Medaglia d’Oro al Merito Civile alla Memoria. E a lui è stato intitolato l’istituto penitenziario di Torino ex Le Vallette. In quel carcere, qualche giorno fa, è entrata una ex terrorista di Prima Linea, Liliana Tosi, per una “passerella”, pare a scopo benefico o di volontariato, in quelle celle che la videro ospite per anni. Pare voglia dare una mano per il rifacimento dell’asilo nido del penitenziario, magari per espiare con un impegno pubblico le proprie colpe. Ma qualcuno, gli agenti penitenziari, per esempio, non ha affatto gradito. Ed è difficile dargli torto, visto che molti di loro, soprattutto i più anziani, ancora ricordano gli epiteti e gli insulti a loro rivolti dalla Tosi. Anche perché la signora, a quanto pare, non ha fatto alcun accenno alla vittima cui è dedicato il carcere stesso, l’agente Lorusso, finito sotto i colpi dell’rganizzazione di cui lei era una delle leader. Possibile?
Da terrorista a simboli del riscatto: e le vittime?
La notizia della visita della Tosi nella sezione femminile e nell’asilo nido del penitenziario l’ha rivelata L’Osapp, Organizzazione Sindacale Autonoma di Polizia Penitenziaria, suscitando enorme imbarazzo. «Il carcere di Torino – ricorda il segretario generale Osapp, Leo Beneduci – è intitolato a Giuseppe Lorusso, giovane poliziotto penitenziario ucciso proprio da Prima Linea. Certo – sostiene – i tempi cambiano e se lo scopo della pena è reinserire produttivamente nella società civile chi ha commesso un reato, ciò deve valere anche per i terroristi. Ma forse, e non si tratta di incapacità di perdono, un limite prima o poi occorre che qualcuno lo metta». È l’ennesimo capitolo della assurda telenovela “i nuovi eroi“, il racconto dei terroristi rossi che si trasformano in maestri o simboli (qui il caso Faranda) del riscatto sociale. Mentre le vittime o i servitori dello Stato (come raccontato in questo libro) restano nell’oblìo.
Le giustificazioni dei vertici del carcere
E i vertici del carcere torinese? Si spiegano così: «Tosi, in collaborazione con l’associazione Eta Beta, opera da tempo in carcere. L’istituto penitenziario ha dato il via ad un’iniziativa per creare un’area verde per i colloqui tra detenuti e i familiari, in particolare i bambini, nell’ambito del progetto Spazi Violenti. I pannelli che verranno realizzati saranno dedicati alle vittime del rogo scoppiato nel carcere nel 1989 quando morirono undici persone, nove detenute e due agenti.”Rispetto il dissenso e so che quelle del terrorismo sono pagine difficili – osserva il direttore del carcere di Torino, Domenico Minervini -. Da tempo lo Stato ha avviato percorsi di riappacificazione e superamento e la Tosi, come molti altri, ha completato il suo percorso di reintegro nella società». Bene. Ma fare volontariato in Africa e riscattarsi nella parrocchia sotto casa, no?