Oregon, la rivolta dei cowboy contro Obama: le terre del West sono nostre

4 Gen 2016 11:07 - di Giulia Melodia

Se la senti raccontare sembra las sequenza di uno dei western a stelle e strisce di ultima generazione: e invece no. È tutto reale, anche se un titolo questa vicenda d’oltreoceano già ce l’ha: la chiamano «la rivolta dei cowboy». O meglio, dei ranchers, degli allevatori. E ha una sola parola d’orine coniata ovviamente dai moderni pionieri di turno: «Le terre del West sono nostre».

Oregon, la rivolta dei cowboy

La vicenda è presto detta: decine di allevatori armati e organizzati, quasi a formare una milizia, hanno così occupato in una remota contea dell’Oregon un edificio federale, all’interno di una riserva naturale in cui vengono protette numerose specie animali. Protestano per la condanna a cinque anni di prigione di due rancher puniti a loro dire per essersi rifiutati di vendere le proprie terre allo Stato. In realtà avrebbero causato una serie di incendi sul suolo pubblico per nascondere la loro attività di bracconaggio. La vicenda va avanti da anni: dal Texas al Nevada, gli allevatori di bestiame combattono contro l’espansione delle riserve federali. E si dicono stufi di pagare per il pascolo dei propri capi su terreni di proprietà del governo federale e di sottostare ai limiti imposti da Washington, a partire di quelli sulla caccia. Due anni fa l’ultima clamorosa protesta, in Nevada, quando si sfiorò lo scontro con i ranger dell’odiato Bureau of Land Management. Allora a guidare l’imponente raduno di uomini a cavallo armati di pistole e fucili e con il cappellone (stetson) in testa era il settantenne Cliven Bundy, controverso proprietario di un ranch sulle sponde del Virgin River divenuto il simbolo della rivolta contro il governo di Washington e leader di quella che nel tempo è diventata una vera e propria milizia. Oggi alla guida degli uomini che sfidano la lontanissima capitale federale ci sono i figli. «Se useranno la forza contro di noi ci difenderemo», afferma minaccioso davanti alle telecamere Ammond Bundy, 40 anni, barba e cappellone da cowboy, armato come tutti gli altri.

Una moderna storia di frontiera tra sceriffi e Fbi

Un storia di frontiera in cui la disputa per il controllo delle terre del west si aggiorna al linguaggio “moderno”: «Non siamo terroristi – hanno detto i cowboy in protesta –; la riserva è stata un danno per la gente di qui a cui vengono sempre più negati i loro diritti, sulla loro terra», insiste Bundy, chiedendo che il governo «ripristini i diritti costituzionali violati». Moltissimi dei rancher in subbuglio sono certamente in buona fede: «Gli Stati dell’Ovest non hanno il controllo del loro territorio come quelli dell’Est», lamentano in molti radunati nonostante il freddo pungente. Rivendicando il diritto di far pascolare il proprio bestiame senza sottostare a tasse e vincoli come quelli della salvaguardia dell’ambiente. Ma Washington sembra decisa ad andare fino in fondo in questa battaglia. Anche se si teme che la situazione possa degenerare da un momento all’altro. Lo sceriffo della contea di Harney ha schierato i suoi uomini, e attende rinforzi federali, a partire dagli uomini dell’Fbi. Al momento comunque non si registrano feriti o persone prese in ostaggio – come ha assicurato Ryan Bundy, altro figlio del patriarca Cliven –, nonostante la preoccupazione soprattutto per i dipendenti federali che lavorano nella riserva. Anzi, sarebbero in corso delle mediazioni, che finora però non hanno portato a quella risoluzione pacifica che tutti auspicano.

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