In tv parlano dei fannulloni e Renzi se la gode. Ma il vero “sfascista” è lui
Se lo dici rischi di essere impopolare. Ti spetta la gogna. Il disprezzo. Sei un alieno, uno che difende i privilegi, che se ne frega dei cittadini e vuole perpetuare lo status quo perché ci guadagna. Eppure questa crociata contro il pubblico impiego proprio non convince. Sarà che nella pubblica amministrazione, sia centrale che periferica, ci è sempre capitato di incontrare impiegati e dirigenti di tutto rispetto, gente che lavora con passione e dedizione, accanto ai fannulloni. Sarà che la percentuale di questi ultimi, per quanto abbiamo potuto constatare, è sempre stata di molto inferiore rispetto ai primi. Sarà che la burocrazia è composta soprattutto di personale onesto, preparato e all’altezza. E se in Italia siamo arrivati ad un eccesso di burocrazia, alla cosiddetta “burocratizzazione”della sfera pubblica, è perché abbiamo abusato nella quantità delle leggi a danno della loro qualità, attribuendo spesso dignità di norma a situazioni di mero rango regolamentare. Per non parlare dell’uso di un linguaggio giuridico che, via via, è diventato sempre più astruso, contorto, incomprensibile e contraddittorio. Un lessico che lascia spazio ad interpretazioni capziose, involute, fuorvianti, spesso prive di logica. Di tutto questo, del dannoso ingolfamento legislativo non si parla, e nessuno si cura. Perché non fa audience. Perché non alletta il palato giacobino dei Torquemada televisivi, quelli che nei talk show imbastiscono processi urlando come iene furiose in nome del popolo italiano e alimentano una foga giustizialista spacciata per sete di giustizia. Il Giletti che dal comodo studio di Rai Uno aggredisce Barbara Casagrande, segretario generale di un sindacato della dirigenza pubblica, mentre tenta di spiegare come la nuova norma sui licenziamenti non sia nient’altro che una misura demagogica, strumentale, mediatica, del tutto inutile, fa parte, appunto, di quella schiera. La schiera dei Torquemada, dei fustigatori, dei censori, dei dispensatori di etica pubblica, manco fossero depositari della verità assoluta. Intendiamoci, gli scansafatiche si nascondono ovunque e, come tali, vanno snidati, perseguiti, condannati e licenziati. Le norme per farlo, in verità, già ci sono. Le introdusse Brunetta, durante il governo Berlusconi. Ma allora la sinistra diede in testa al ministro, lo trattò da cialtrone, da persecutore. Ipocrisia assoluta. Ora, invece, si va a caccia dello scoop, della notizia che fa rigirare le budella al popolo sovrano, inebetito da una propaganda fasulla, fallace, diretta a distruggere tutto, a gettare l’acqua sporca e il bambino, in nome della rottamazione, della delegittimazione, dello sfascismo istituzionale. In Inghilterra quando si parla di pubblico impiego si evoca la figura del Civil Servant, il servitore dello Stato. In Francia è famosa l’Ecole Nationale d’Administration (ENA) la cui missione principale è fornire alle istituzioni una burocrazia di alto livello. Negli Stati Uniti esiste il Merit Systems Protection Board, ossia un Comitato che si occupa dei dipendenti pubblici, dal reclutamento alla formazione, alla retribuzione e che li difende dagli arbitri, dalle costrizioni e dalle coercizioni politiche. Da noi, invece, si va avanti a colpa di demagogia. Una riforma vera e seria è ancora al di là da venire. Nell’attesa, il pubblico impiego è diventato un peso, un orpello, un ingombro. Nessuno che si chieda perché in gran parte è demotivato, perché i più meritevoli non hanno spazio, perché è attecchito il clientelismo. Invece di essere riorganizzato, ripopolato, modernizzato e responsabilizzato, il sistema è stato nel tempo svilito, svuotato, opacizzato. Eppure un Paese che voglia davvero progredire dovrebbe incentivare e organizzare al meglio la sua pubblica amministrazione. Non affossarla, denigrarla, gettarla nello sconforto. Sarà pure impopolare, ma a noi i Torquemada non vanno proprio a genio.