Casta 2.0: l’amico del cuore di Renzi a capo degli 007 informatici

17 Gen 2016 8:15 - di Redazione

E se Marco Carrai, il dioscuro, il Mazarino di Renzi dal sorriso aguzzo, l’uomo che gli pagava la casa a Firenze senza «nulla volere in cambio», diventasse davvero lo spione telematico del Presidente? Ipotesi affascinante, e un tantino inopportuna. Che sguscia dal Fatto Quotidiano: per Carrai sarebbe pronto un decreto di nomina che lo metterebbe a capo di un’« Agenzia per la sicurezza informatica incardinata presso la Presidenza del Consiglio (ossia presso il Dis diretto da Giampiero Massolo)». L’annuncio è stato dato dal premier ai fedelissimi Boschi e Lotti e -per dovere- a Marco Minniti sottosegretario a Palazzo Chigi con delega ai Servizi di sicurezza a cui Carrai e i suoi dovrebbero riportare.

La notizia è talmente inverosimile da essere vera.

In effetti Carrai ha il pallino della cyber security: possiede la Cys4, una società del settore che opera anche con gli israeliani i quali, in tema di controspionaggio, non sono i primi arrivati. Canai, inoltre, sarebbe una sorta di lobbysta di categoria. La materia, insomma, la mastica, al punto – dicono dal Pd- «di fare a Renzi una testa così sui crimini informatici». In somma, un accerchiamento riuscito quasi per sfinimento. Ma tant’è. Da quando, pare da ambienti dei Servizi, è trapelata l’indiscrezione (e, sempre pare, proprio per «bruciare» il novello James Bond del Giglio Magico), la notizia sembra già ridimensionata.

Sarebbe un doppione dell’efficientissima sezione di cyber security già operante in seno all’Aise.

Eppoi, per diventare dirigente apicale di un popò d’organismo simile, occorre un requisito essenziale: la laurea. Che Carrai non possiede, ricorda “Libero”. Carrai s’è fermato -come si dice sempre in questi casi- a pochi esami dal pezzo di carta. In una memorabile intervista a Salvatore Merlo del Foglio fu egli stesso, fieramente, a ricordare: «Un giorno ero all’università per un esame, e mi avvicinai al professore chiedendogli se potevo dare l’esame subito, per primo, visto che avevo un impegno di lavoro a Verona e mi trovavo un po’ in difficoltà. Quello mi rispose così: “I suoi impegni di lavoro non sono compatibili con l’università”. Allora io gli risposi che aveva ragione. Quindi gli voltai le spalle e all’università non ci rimisi più piede. Qualche mese dopo lavoravo al Mit di Boston, come consultant. A volte la laurea non serve». A volte. Ma non è questo il caso.

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