Pensionato rapinato e ucciso a Ferrara: «L’abbiamo lasciato morire»
Pensionato ucciso a Ferrara dopo una rapina: novità sul caso – o meglio sui carnefici del caso – riportano d’attualità il barbaro omicidio di Pierluigi Tartari, il settantatreenne sequestrato, rapinato, massacrato, umiliato, imbavagliato, ucciso e poi gettato come un oggetto qualunque, senza valore, nel folto di un boschetto dove il suo corpo non sarebbe mai stato ritrovato se uno dei suoi assassini, un diciannovenne straniero, non avesse confessato omicidio e rapina, e non avesse detto di andare a cercarlo in quella zona impervia. E la novità è appunto che è tornato in Italia, estradato dopo due mesi di carcere in Slovacchia, Ivan Pajdek, alias Huber Sandor, 51 anni, considerato il “capo” della spietata banda che il 9 settembre organizzò la rapina.
Pensionato ucciso a Ferrara, estradato il capobanda
Dunque, dopo due mesi di cella in Slovacchia Ivan Pajdek rientra in Italia dove dovrà affrontare le sue responsabilità, essendo considerato il “capo” della banda che il 9 settembre organizzò la rapina e il sequestro dell’anziano, picchiato, rapito e abbandonato in fin di vita in un rudere vicino a Fondo Reno, dove la vittima fu trovata senza vita all’alba del 26 settembre. Pajdek ha confessato al gip Silvia Marini e al pm Filippo Di Benedetto – in base a quanto riferito dai giornali locali – di avere avuto come complici gli altri due arrestati, Patrik Ruszo e Constantin Fiti, assolvendo in parte se stesso parte dalla ferocia criminale, accreditata in larga misura a Ruszo. Pajdek, infatti, nella sua ricostruzione dei fatti avrebbe ritagliato un ruolo molto attivo, da picchiatore e violento, per Ruszo, mentre avrebbe assegnato aspetti più marginali a Fiti, attribuendo alla madre di Patrik Ruszo, una badante, il suggerimento più o meno esplicito che avrebbe attirato l’attenzione della banda sull’abitazione del pensionato. La donna però non è al momento indagata dalla procura, che sta valutando comunque la sua posizione. Non solo: riguardo all’ipotetico ruolo della badante, madre di uno dei componenti della banda, Pajdek avrebbe anche affermato che lui e Patrik, in cerca di un riparo (erano senza fissa dimora), avevano più volte trascorso la notte nella casa dell’anziana – senza l’accordo della padrona di casa – dove la badante svolgeva servizio, abitazione che confinava con quella di Tartari.
I particolari della confessione di Pajdek
Dunque, il quadro si complicherebbe e, in base a quanto confessato dall’uomo estradato in Italia in queste ore, e aggiungerebbe anche altri agghiaccianti particolari sulla fine della povera vittima, a proposito della quale Pajdek ha dichiarato che al momento dell’abbandono del corpo «Tartari era vivo». Non solo: «Volevamo liberarlo dopo due giorni, ma poi abbiamo lasciato perdere». O meglio, sulla decisione di «lasciare perdere» il croato avrebbe fornito un ulteriore indizio a supporto dell’ipotesi che il pensionato di Aguscello sia stato lasciato morire: «Non abbiamo potuto liberarlo perché in quella zona c’erano movimenti di persone», ha dichiarato Pajdek nella confessione. «I miei complici, ai quali avevo affidato il compito di lasciarlo andare, hanno rinunciato perchè c’erano delle luci e hanno pensato che fosse stato ritrovato. Poi ce ne siamo disinteressati», ha sostenuto il detenuto estradato. Invece, dentro quel tugurio l’anziano sarebbe morto di stenti: una fine tremenda che aggrava le responsabilità dei tre indagati: tutti rischiano l’ergastolo.