Moro, spuntano di nuovo Servizi e criminalità dietro al sequestro
C’è la possibilità che si scelse proprio via Mario Fani a Roma per portare a compimento il sequestro di Aldo Moro perché il Bar Olivetti, davanti al quale si dislocò il commando Br, era sede di un inedito intreccio di interessi che la Commissione Moro sta cercando ora di ricostruire.
Il dubbio è fondato e supportato da molti elementi nuovi riportati nella relazione approvata oggi.
La Commissione sta scandagliando l’ipotesi che il titolare del bar possa essere stato in relazione con i Servizi Segreti o con le forze dell’ordine. Un’ipotesi, questa, che costringerebbe a riscrivere del tutto la vicenda di via Fani per come è conosciuta fino ad oggi.
Una vicenda densa di misteri mai compiutamente chiariti e sulla quale aleggiano aspetti a dir poco inquietanti che lasciano immaginare un’eterodirezione del sequestro e della sua gestione fino al tragico epilogo finale.
Alcuni testimoni hanno riferito che il bar Olivetti non era affatto chiuso in quelle settimane, come, invece, si era sempre ritenuto e come hanno riferito tutte le indagini nel corso di questi 37 anni e di conseguenza la sterminata pubblicistica esistente.
Alcuni testi, come il giornalista Paolo Frajese, dichiarano di aver preso il caffè o di aver usato il telefono proprio nella mattina del 16 – quindi il giorno del sequestro Moro – o di essere clienti abituali.
La possibilità che il bar Olivetti fosse, invece, effettivamente aperto al pubblico dopo la strage, nonostante la situazione giuridica formale fosse di attività in liquidazione, pone seri interrogativi sulla dinamica dell’agguato, per come è stata sempre ricostruita sulla scorta delle dichiarazioni degli stessi brigatisti, i quali hanno asserito di aver atteso nascosti dietro le fioriere prospicienti il bar Olivetti l’arrivo delle auto al servizio di Aldo Moro.
Questa ricostruzione – non del tutto convincente, tenuto conto che le fioriere potevano offrire un riparo ben poco efficace a più persone destinate a stazionare in attesa per un lasso di tempo non trascurabile – deve essere quanto meno riconsiderata alla luce dei nuovi elementi acquisiti dalla Commissione Moro.
Tuttavia alcune ricostruzioni confermano, invece, la chiusura del Bar Olivetti tanto che fu il portiere del civico 109, che ne aveva le chiavi, ad aprire ai carabinieri che vollero fare un frettoloso quanto inutile sopralluogo all’interno.
Ma c’è un altro aspetto che ha catturato l’attenzione dei commissari dell’organismo parlamentare di inchiesta.
Il titolare del Bar Olivetti, Tullio Olivetti, socio e proprietario di ben 24 società diverse, era un personaggio molto noto agli ambienti investigativi per essere stato coinvolto in una complessa e stranissima vicenda relativa ad un traffico internazionale di armi, ma più volte è stato “sfilato” da tutte le indagini, contrariamente ai suoi presunti complici, tanto da far ipotizzare che la sua posizione sembrerebbe essere stata quasi “preservata” dagli inquirenti e che egli possa avere agito per conto di apparati istituzionali ovvero avere prestato una erta forma di collaborazione che ora la Commissione Moro intende meglio definire.
Formalmente l’indagine che coinvolge Tullio Olivetti, il cui nominativo figura, peraltro, anche negli elenchi – predisposti dalla Questura di Bologna – delle persone presenti in quella città nei giorni antecedenti la strage alla stazione del 2 agosto 1980, iniziò il 29 gennaio 1977, con un rapporto a firma del tenente colonnello Antonio Cornacchia, ed aveva al centro le attività di un certo Luigi Guardigli, amministratore della società RA.CO.IN che si occupava, tra l’altro, di compravendita di armi per Paesi stranieri.
Tullio Olivetti venne subito indicato da Guardigli come trafficante d’armi e di valuta falsa (aveva riciclato 8 milioni di marchi tedeschi, provento di un sequestro avvenuto in Germania) che vantava alte aderenze politiche, era in contatto con ambienti della criminalità organizzata.
In una circostanza, nella villa di una persona presentatagli proprio da Tullio Olivetti, Guardigli aveva trovato ad attenderlo il mafioso Frank Coppola (indicato come persona che intervenne per dissuadere alcuni elementi della criminalità organizzata – in precedenza sollecitati da uomini politici ad attivarsi – dal fornire notizie utili a localizzare il luogo dove era tenuto prigioniero Aldo Moro) che gli aveva chiesto di dare seguito ad una richiesta di armi fattagli da tale Vinicio Avegnano, in rapporti con ambienti di destra e con quelli, non meglio precisati, dei Servizi, anch’egli indicato come amico di Olivetti.
Ma le indagini su Olivetti non vanno avanti: sottoposto a perizia psichiatrica eseguita dal professor Aldo Semerari, che verrà poi ucciso e fatto ritrovare, attraverso una singolare messinscena, la testa mozzata e lasciata in un catino all’interno di un’auto, Guardigli fu definito «una personalità mitomane, con una condizione psicopatica di vecchia data, e, allo stato, permanente. I suoi atti e le sue dichiarazioni sono espressioni sintomatologiche di tale anomalia».
Il complesso di queste circostanze. secondo la Commissione Moro, anche in considerazione dei rapporti tra Olivetti e Avegnano impone ulteriori accertamenti sull’ipotesi che il primo fosse un appartenente o un collaboratore di ancora non meglio definiti ambienti istituzionali o dei Servizi Segreti o delle forze dell’ordine.
E a rafforzare questo sospetto c’è un altro elemento emerso.
Dopo aver gestito il Bar Olivetti per proprio conto, ad un certo punto Tullio Olivetti si mise in società nella Olivetti SpA con Maria Cecilia Gronchi, figlia dell’ex-presidente della Repubblica Giovanni Gronchi e con il di lei marito, Gianni Cigna.