I popoli vengono prima dei bilanci: solo così si rifonda l’Europa
Pubblichiamo uno stralcio dell’intervento di Marcello Veneziani nella discussione finale in merito al Rapporto di previsione sull’Economia italiana presentato ieri all’Istituto Sturzo di Roma
Un asfissiante dirigismo finanziario sta soffocando la vitalità dell’economia e la sovranità degli stati europei. Il Novecento ci aveva abituato a vedere sulla scena due modelli economici contrapposti: da una parte il modello dello Stato interventista che frenava il libero mercato sotto la cappa di uno statalismo invadente, che dirigeva l’economia e stabiliva reti di protezione e vincoli, nel nome del Welfare, dell’economia sociale, se non socialista, tra programmazione e pianificazione. E dall’altra parte il modello del libero mercato che lasciava spazio all’iniziativa privata nel nome del liberismo e della deregulation, la libera circolazione di merci e capitali. Nel nuovo millennio è cresciuto in Europa, sulle ali del libero mercato e della finanza globale, un mostro sovrastatale che impone un rigido, oppressivo, minaccioso dirigismo economico. L’unica sovranità che riconosce è la sovranità del debito, il cosiddetto Debito Sovrano e l’assoluta priorità che impone agli stati e alle società è pagare i propri debiti, ridurre il deficit, tendere al pareggio di bilancio.
L’uscita dal tunnel del debito
L’imperativo riguarda direttamente gli stati membri e la spesa pubblica ma ricade inevitabilmente sull’iniziativa privata, sulle imprese, sulle condizioni reali dell’economia di un paese. Se c’è da scegliere tra l’assetto contabile degli stati e la vita reale dei popoli, la priorità degli euro-dirigisti è assegnata senza esitazioni al primo, a scapito della seconda. Un paese può fallire, finire in default e perfino essere estromesso dall’Europa, se non ha i conti in ordine e se non rispetta i parametri imposti dal dirigismo economico europeo. Il debito sovrano assume oggi lo stesso ruolo che aveva il peccato originale: una macchia indelebile, che anche le nuove generazioni ereditano dalla nascita, una colpa assoluta e indipendente dalle volontà e dai comportamenti di ciascuno che li pone in condizione permanente di dipendenza e subalternità, tra procedure d’infrazione e minacce di sospensione ed espulsione, equivalenti tecnico-finanziari della scomunica, dell’anatema e della dannazione. Vista l’entità gigantesca del debito e la sua crescita esponenziale col tempo, che costringe non a ridurre veramente il debito ma solo a pagare gli interessi sui debiti pregressi, vista l’impossibilità di terapie radicali e definitive, non c’è alcuna uscita dal tunnel del debito, solo un percorso obbligato e scandito da tappe infinite che non consentono il recupero della libertà né il ripristino della sovranità. Debitori si nasce, si cresce e si muore.
Riportare l’economia tra le genti
“Il privato si è mangiato il pubblico – scrive Mario Tronti – l’economia si è mangiata la politica, la finanza si è mangiata l’economia, quindi il denaro si è mangiato lo Stato, la moneta s’è mangiata l’Europa, la globalizzazione si mangia il mondo”. Naturalmente non si tratta di seguire gli schemi complottistici e dividere l’Europa tra vittime e carnefici: ci sono state politiche dissennate che hanno ingigantito il debito e ci sono tentativi apprezzabili di risanare gli errori passati. Ma a questo punto non resta che fuoruscire dalla gabbia, rimettere in discussione la sovranità del debito e partire da altre basi, non legate alla finanza ma alla vita reale dei popoli e dell’economia, alla sovranità politica, nazionale e popolare. La crisi economica non si risolverà finché restiamo solo sul terreno dell’economia e soprattutto se restiamo dentro i dogmi e gli schemi tecno-finanziari. Lo stesso mercato finanziario appare fortemente condizionato da fattori psicologici, emotivi, meta-economici: la borsa è psicolabile e lo dimostra ogni giorno… Si tratta allora di spodestare l’Economia dal trono di Ars regia e riportarla a terra, in mezzo alle genti. Bisogna salire di un piano o scendere alle fondamenta se si vuole spezzare la china automatica che si è generata. Tocca alla politica, la grande politica che decide, non la governance, tagliare il nodo di Gordio. Per questo, con tutte le velleità, le astuzie e l’avventurismo che hanno accompagnato l’esperienza greca e le sue tifoserie nostrane, è necessario trarre un insegnamento e una previsione dal referendum: un popolo viene prima degli assetti contabili, la vita di una comunità è più importante dei suoi debiti finanziari, non è possibile cacciare dall’Europa chi fa parte della sua storia e della sua identità. Solo su queste basi si potrà rifondare l’Europa vera, viva, variegata, ricca di passato e di avvenire.