Il comunismo non passerà. La grafica vintage del Msi in mostra a Trieste
Quando non c’era internet, e i manifesti si scrivevano con il pennarello e venivano prodotti secondo i canoni stilistici di un marketing sezionale. Erano gli anni Settanta, tempi agguerriti che richiedevano una grafica elementare nella sua essenzialità. Lo spiega Pietro Comelli introducendo il catalogo della mostra da lui curata, con Andrea Vezzà, sulla comunicazione politica a Triste dal 1970 al 1979. “A colpi di manifesti” è la rassegna che resterà aperta alla Sala Umberto Veruda a Trieste fino al 10 maggio. I curatori si aspettavano un pubblico di nicchia, invece nei primi tre giorni di apertura (dal 18 aprile) sono arrivati 800 visitatori. Nostalgia delle affermazioni sovrane e delle negazioni assolute? Rimpianto per un linguaggio politico netto e “riconoscibile”? Semplice fascino di una grafica vintage?
L’inattualità degli anni Settanta attira il pubblico
Ad attirare, spiega Gianni Ferracuti, docente dell’Università triestina, è proprio l’inattualità degli anni Settanta, epoca “irrimediabilmente pietrificata nel passato”. Anche il lessico che si utilizzava allora è ormai morto e inutilizzabile: si pensi a termini come rivoluzione, presidio, avanguardia, mobilitazione… e allora? Allora non resta che accostarsi con rispetto e apertura mentale a quei messaggi appassionati e a volte anche un po’ rozzi, che comunicano oggi in ogni caso l’idea che la politica non era solo gestione dell’esistente.
I manifesti del FdG e del Msi contro il comunismo
Troviamo così i manifesti della sinistra che considerava Giorgio Almirante un “servo dei nazisti”, quelli del Fronte della gioventù che lanciava l’allarme: “La sovversione è alle porte”, quelli della Giovane Italia che recitavano “chi non sa far la guerra, non sa far l’amore”, quello sempre del FdG che invocava il voto esteso ai diciottenni, quelli del Fuan per il diritto allo studio e la laurea europea, quelli sui primi concerti della Compagnia dell’Anello, quello del primo Campo Hobbit a Montesarchio, quello del Msi contro il compromesso storico (con l’immagine dell’Italia stritolata tra due mani rosse che si stringono, una contrassegnata dallo Scudocrociato, l’altra dalla Falce e martello), e infine quelli della Cisnal contro il “disfattismo dei sindacati rossi”.
Comizi missini e femministe
E poi ci sono le foto: quelle dei comizi missini, quelle dei presidi antifascisti e quelle delle donne, le femministe e le antifemministe del gruppo Eowyn-Trieste. E ancora le copertine dei giornali che accompagnarono il dibattito interno alla destra: Linea, Diorama, La voce della fogna e Eowyn. Testimonianze di anni “incredibilmente generosi e incredibilmente manipolati” i cui colori in ogni caso – il rosso e il nero – “risultano – è ancora Ferracuti che scrive – “molto più vivaci di una noiosa e interminabile sfumatura di grigio”.