Non bastano i lustrini dei soliti noti. Paolo Isotta stronca il “Fidelio”

8 Dic 2014 17:01 - di Gioacchino Rossello

Un “Fidelio” che Beethoven troverebbe zeppo di errori “di grammatica”. E se lo scrive  Paolo Isotta non si può dubitarne. Per il resto, copione scontato. Solite mazzate tra polizia e manifestanti all’esterno. Pellicce, lustrini, frac o tight all’interno. Comunque si siano conciati, gli abituè della Scala di Milano, quelli che non perderebbero per nulla al mondo la “prima”, ce l’hanno fatta anche stavolta. Anche questo 7 dicembre i morti di fama e i soliti noti, quelli che devono esserci ad ogni costo che se non ci stanno vuol dire che non contano nulla, si sono accalcati nel Tempio meneghino della lirica. Sfoggiando acconciature e vestiti e dispensando saluti e sorrisi a favore della solita selva di flash e telecamere.

Grasso appoggiato alla balaustra

Tutto già visto, tutto scontato. Come scontato è stato il tripudio finale, i minuti di applausi (ben dodici ne hanno registrati gli addetti) che dalla platea, dal loggione e dai palchi (reale incluso) si è riversato sulla compagnia diretta dal maestro Baremboim per la regia della signora Warner. L’assenza del vecchio Giorgio, il nostro presidente pro tempore che sta già preparando gli scatoloni al Quirinale per potersi finalmente godere la pensione e i nipoti, è passata quasi inosservata. Se non fosse stato per la evidente stanchezza di colui che tra poco sarà il facente funzioni, il presidente del Senato Grasso, colto appoggiato alla balaustra mentre l’inno provvisorio della Repubblica risuonava. Un motivo in più per essere celeri nella scelta del successore di Napolitano. Insomma, niente di nuovo, elogi sperticati ai protagonisti in scena e pagine grondanti entusiasmo e soddisfazione. Tutti, praticamente tranne uno.

Fendenti in punta di penna

Tranne cioè quel bastiancontrario che risponde al nome di Paolo Isotta, genio autentico della critica, capace di condensare in poche frasi sulle pagine del Corrieretutto quello che a me non è piaciuto“. Ed è stato perciò un menar fendenti in punta di penna col maestro Daniel Baremboim inchiodato all’angolo della sua direzione e della sua responsabilità poichè «crede di saperla più lunga dell’Autore; ed ecco perché la mezza cultura è peggiore della completa ignoranza». Una stroncatura totale con una chiusa che non ammette repliche: «Chi ha tanto ammirato la recita odierna tenga conto che io sono al mio quarantesimo sette dicembre» Che Dio ci conservi il più a lungo possibile Paolo Isotta.

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