“Mio marito Buontempo a Tor Sapienza avrebbe parlato di dignità”

18 Nov 2014 14:29 - di Redattore 89

Quando si insediò come assessore regionale alla Casa il suo primo pensiero fu come cambiare Corviale. Quando parlò per 28 ore di seguito in Consiglio comunale descrisse un progetto per Roma partendo dalle sue periferie. Quando ci andava, nelle periferie, anzi nelle «borgate», lo faceva, disse una volta, «non come allo zoo», ma come romano fra i romani. È Marina Vuoli, anche lei un lungo passato di impegno politico alle spalle, a raccontare da cosa nasceva il rapporto speciale tra il marito Teodoro Buontempo e le zone più popolari di Roma e a dirsi convinta che «la destra, oggi, con i suoi valori può ancora essere una bandiera cui guardare per una gestione dei problemi che sono stati lasciati senza soluzione».

Signora Buontempo, le periferie romane oggi sono in rivolta. Come pensa che si sarebbe comportato suo marito a Tor Sapienza?

Senz’altro avrebbe avuto capacità di dialogo, la capacità di essere vicino ai senza diritti. Degli immigrati disperati, che vengono in Italia in cerca di una nuova vita, diceva che vanno rispettati cristianamente, innanzitutto come uomini. Diceva “Io ero come loro, un immigrato emigrato dall’Abruzzo”.

Oggi anche gli abitanti di Tor Sapienza e delle altre periferie si sentono senza diritti, per questo protestano

E lo capisco, perché per loro la questione del centro di accoglienza è un problema che si aggiunge ai problemi. Il quartiere è stato abbandonato, assistiamo a una classica guerra tra poveri, che aggrava e incancrenisce le situazioni. Il problema è a monte, sta nel capire che esiste un afflusso di persone straniere che va regolamentato, che questa è la questione madre su cui intervenire e che non può essere risolta scaricandola sui quartieri, sui loro abitanti. Questa è quasi una cattiveria, gli stessi immigrati integrati ci dicono che dovremmo avere più buon senso, che è come se stessimo invitando a casa nostra un numero di persone che non ci sta.

Ma il problema esiste, c’è qualcosa nell’esperienza di suo marito che lei indicherebbe come strada per uscirne?

Io credo che la strada sia nei valori della destra, che Buontempo incarnava, anche se talvolta ha avuto difficoltà a farsi capire dal suo stesso partito. Ho l’impressione che qualche volta era come se si vergognassero di lui, del suo modo così diretto di parlare, così esplicito, così politically uncorrect. Penso a quando gli affiancarono Borghini per la corsa al Campidoglio, era come se servisse qualcuno di “presentabile” da mettergli a fianco. Ma lui diceva le cose che andavano dette e per questo era amato dalle borgate.

Quali erano queste cose?

Erano quelle a tutela della dignità della persona, dette per dare voce ai senza voce, ma erano cose che si potevano mantenere. Non ha mai cercato una raccolta del consenso facile, né ha mai cavalcato l’angoscia delle persone per poi tradirla un minuto dopo, non avendo strumenti per dare le risposte che servivano. Credeva profondamente nel valore della rappresentanza, della politica, della democrazia. Tante volte ha parlato della “centralità del popolo sovrano e del primato delle istituzioni, che deve andare oltre le divisioni tra destra e sinistra per consolidare quella coesione nazionale indispensabile per l’unità di ogni Stato”. Quello che diceva derivava da questi valori, che sono i valori della destra e che credo possano dare risposte a quanto sta accadendo.

 

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