Atreju rimette al centro la legalità: Cantone detta la ricetta anti-corruzione, FdI chiede certezza della pena

17 Set 2014 21:10 - di Luca Maurelli

È Raffaele Cantone la star, sobria e low profile, della prima giornata della festa di Atreju, L’isola che c’è, con i temi della corruzione, della legalità e dell’etica politica a segnare il dibattito serale. Cantone, Michele Santoro, Edmondo Cirielli e Filippo Facci discutono per oltre un’ora e mezza di appalti e tangenti, vecchie e nuove, in quell’angolo di romanità antica che è l’isola Tiberina, con l’immagine di Falcone e Borsellino alle spalle e quella di Almirante lateralmente. Una scelta, quella di chiamare a dibattere con la platea di destra l’uomo di legge che vigila sull’Expo 2015 e sul malaffare italiano, che per Giorgia Meloni e i suoi Fratelli d’Italia non è casuale, anzi: è la destra dell’ordine e del rispetto delle regole che rivendica un ruolo trainante nel centrodestra anche con la forza di argomenti legalitari che sono da sempre nel suo Dna, casomai qualcuno se ne fosse dimenticato in questi anni.

Su questo tema (e su tanti altri) sarebbe stato interessante porre qualche domanda anche a Matteo Renzi, grande assente – a causa di uno scortese rifiuto – dalla kermesse dei Fratelli d’Italia, che al premier dedicano ironie fin dall’apertura dei lavori. «A lui piace dibattere in scuole con bambini che gli cantano le canzoni, con i grandi un po’ meno, eppure avevamo tante cose da chiedergli», spiega Francesco Lollobrigida dal palco, in apertura dei lavori.

Dopo il dibattito sulla catastrofica situazione della Roma di Marino, con un’altra defezione eccellente, quella di Nicola Zingaretti, governatore Pd del Lazio, è il momento di Raffaele Cantone: i flash sono tutti per lui, strette di mano, interviste, incoraggiamenti di semplici militanti, fino alla foto con Giorgia Meloni, la padrona di casa che lo ha fortemente voluto ad Atreju. Il dibattito è introdotto da Raffaele Speranzon, assessore provinciale a Venezia, che richiama il senso della battaglie di destra anche sulle grandi opere pubbliche, cita il Mose, introduce Cantone, che ricorda come nel suo ruolo di sceriffo degli appalti abbia percepito immediatamente il sottile fastidio che molte amministrazioni pubbliche manifestano quando vengono costrette a dare conto dei propri atti. «Ma io credo nella missione della mia Authority anticorruzione, credo nel valore dell’opera di prevenzione, più che di repressione, ritengo la battaglia della trasparenza una grande possibilità per il nostro Paese. Ma la battaglia contro la corruzione non è solo inchieste e arresti, deve essere culturale, perché le tangenti sono un sistema che gli imprenditori utilizzano per battere la concorrenza, per lavorare seguendo vie traverse che vengono quasi tollerate nell’opinione generale. Per questo dico che alla base deve esserci un cambio di mentalità, tutti devono comprendere che un sistema malato, corrotto, è un danno per la collettività, per il Paese». A Michele Santoro il compito di ricostruire la matrice sociale e politica di tangentopoli, quella commistione tra malaffare e blocchi sociali e politici che «ancora oggi vivono e garantiscono, attraverso un sottobosco di burocrazia, una zona grigia dove far crescere la corruzione».

Filippo Facci non può fare a meno di bacchettare i magistrati e la miopia delle procure, strabismo, più che altro, su cui concorda Speranzon, che ne corrobora il concetto: «Quante inchieste negli anni scorsi sono iniziate e poi finite nei cassetti…». Poi ricorda due proposte di legge di Fratelli d’Italia che prevedono la responsabilità diretta del partito, quando i suoi rappresentanti vengano condannati per corruzione. Edmondo Cirielli, deputato e ufficiale dei carabinieri, spiega che la bandiera dell’indignazione contro i provvedimenti di clemenza e di prescrizione varati dagli ultimi governi viene utilizzata da tutti i partiti a turno, ma spesso in modo strumentale. «I cittadini vogliono pene esemplari, ma poi c’è la fila per chiedere la raccomandazione ai politici. Non credo che si possa creare un uomo nuovo, non ho questa ambizione, ma serve la certezza della pena per consentire un cambiamento culturale». Non solo pena, ribadisce Cantone, ma soprattutto trasparenza da chi ottiene contributi pubblici, a qualsiasi titolo.

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