Giudici forti e politica debole. Cosa c’è dietro la diffida a Berlusconi e l’ipocrisia della immunità

2 Lug 2014 13:20 - di Silvano Moffa

Un sottile filo rosso lega la faccenda della immunità, prima tolta e poi concessa, per il Senato che verrà e la diffida inferta a Berlusconi dal giudice di sorveglianza di Milano per le parole pronunciate nell’aula del tribunale di Napoli quando, convocato come testimone nel processo a Valter Lavitola, l’ex premier aveva definito la magistratura italiana “incontrollata e incontrollabile” e sostenuto che le toghe godono di “impunità piena”. E’ il filo di un rapporto tra magistratura e politica che, da Tangentopoli in poi, si è sempre più sfilacciato, fino a scompaginare equilibri e stravolgere canoni incardinati nella stessa Costituzione. A partire dalla trasformazione nei fatti di quel che costituzionalmente viene definito un Ordine (la Magistratura) in un Potere pieno ed effettivo. Un Potere che si è rivelato talmente debordante da sostituirsi alla politica, quando quest’ultima è entrata in afasia ed è stata delegittimata per effetto dei suoi stessi errori e delle sue ripetute manchevolezze. Chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Fatto sta che mai come in questi ultimi tempi abbiamo assistito ad uno squilibrio così forte tra il Potere politico e quello giudiziario. Intendiamoci, nessuno vuole assolvere la politica e i politici corrotti dalle loro responsabilità. Né tantomeno assecondare l’idea che gli errori e i guasti procurati da alcuni pubblici ministeri e da alcune Procure in fregola di sensazionalismo possano essere generalizzati, fino a coinvolgere l’intero corpo giudicante del nostro sistema giurisdizionale. Sarebbe però ipocrita nascondere la realtà, celare la crisi che investe quel sistema, nella sua complessità. Troppe cose non funzionano. Troppe sono le diversità di giudizio su fatti che pure presentano indubbie analogie. Troppi gli abusi. Non è un caso che l’Italia sia sul banco degli imputati per la lungaggine dei processi e il vergognoso ricorso alla detenzione preventiva, in spregio ad ogni più elementare forma di tutela dei diritti individuali. Né può essere negato l’uso politico della giustizia, formidabile arma per togliere di mezzo l’avversario quando diventa scomodo e ingombrante.
Le vicende giudiziarie di Berlusconi, ma non solo quelle, ne sono la più evidente manifestazione. Ora, se è inconfutabile che un giudice di sorveglianza sia chiamato, per dovere di ufficio, a far rispettare le regole che sovrintendono la concessione del beneficio dei servizi sociali a favore di un condannato (quale è appunto Berlusconi), è pur vero che quel “patto” di non belligeranza sottoscritto per accedervi che, tradotto in parole povere, non è nient’altro che un modo per privarlo della libertà di giudizio verso la stessa magistratura che lo ha condannato, appare come qualcosa di stonato, di forzato, una pena aggiuntiva di cui si fatica a comprendere la ratio. Esattamente come si fatica a capire il perché i parlamentari italiani non possano godere della immunità di cui godono, ad esempio, i parlamentari europei. Si tratta di guarentigie che trovano fondamento proprio in quelle idee di separazione di poteri e di garanzia nell’espletamento della funzione legislativa che danno sostanza alla democrazia e certezza al diritto.

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