Forza Italia scelga la via del dibattito e abbandoni la minaccia dei probiviri

16 Lug 2014 16:52 - di Mario Landolfi

Solo chi non ha seguito le recenti evoluzioni di Forza Italia può stupirsi della minaccia di Berlusconi di deferire al tuttora inesistente collegio dei probiviri chiunque in futuro dovesse azzardarsi a dissentire in quel partito. Non è una novità. La vittima più illustre della via disciplinare alla politica è senza dubbio Gianfranco Fini. Ma quella del fondatore e leader di An è comunque un’altra storia. Si trattava di un alleato, successivamente confluito nello stesso contenitore da cui sarebbe nato il Pdl, ma non era sangue del sangue del Capo. A lui – al massimo – Berlusconi poteva rinfacciare di averlo “sdoganato” e portato al governo ma non di averlo “inventato” dal nulla. Alfano – realmente estratto dal cilindro con una mossa di prestigio alla Berlusconi – invece non è stato mai espulso. Se n’è andato lui in compagnia sufficiente a fargli costituire senza particolari patemi gruppi alla Camera ed al Senato.

Ma è la storia di queste ore, con la fronda interna ispirata da Fitto e agitata da Minzolini, ad aggiungere un tocco particolarmente plumbeo alla deriva disciplinare evocata dal Cavaliere. Sarà perché concomitante con l’acuirsi dei suoi guai giudiziari o per l’avanzare dell’età o per le due cose insieme, fatto sta che il deferimento ai probiviri ha lasciato sgomenti un po’ tutti, compresi i forzisti ortodossi. È di tutta evidenza che anche ai loro orecchi la minaccia di punire i dissidenti segna un punto di non ritorno sulla strada dell’ormai irreversibile personalizzazione del partito. Intendiamoci, Forza Italia si è sempre distinta per la trazione carismatica impressale dal suo demiurgo ma questi era stato sempre attento a conservare l’equilibrio “monarchico-anarchico”. Un ossimoro politico così sintetizzabile: amplissima libertà di manovra ai “sudditi” in cambio della loro fedeltà assoluta al “re”. È questo il nucleo “ideologico” del “partito dell’amore”, dell’apparato dolce, materno, anzi “femmineo” secondo la definizione di un devoto come Bondi, pronto a tollerare tutto, dal dissenso al mancato versamento dei contributi. L’importante è non discutere il Capo, l’alfa e l’omega del movimento, cioè colui che ha permesso a tutti gli altri di esistere politicamente.

Sulle riforme solennemente protocollate a largo del Nazareno, sede del Pd, tra Renzi e Berlusconi sta accadendo esattamente questo. A molti forzisti l’impegno ad approvarle rapidamente, non piace. E per tutta risposta il collegio dei probiviri si sostituisce al posto del “partito dell’amore”. Per molti è l’inevitabile declino di un modello organizzativo. Per altri – e chi scrive tra questi – è solo la vendetta della politica.

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