Accesso al credito, Italia fanalino di coda nell’Eurozona. E nel Mezzogiorno il denaro continua a costare di più
La conferma di come le cose vadano male sul fronte del credito viene da uno studio della Svimez. Sull’ultimo numero della Rivista Economica del Mezzogiorno i professori Luca Giordano e Antonio Lopes offrono il quadro degli squilibri territoriali legati al sistema bancario per effetto della crisi nella zona Euro. Negli ultimi anni è cresciuto il divario tra Nord Europa ed Italia nell’accesso al credito per le aziende. Le piccole e medie imprese europee che, nel 2012, hanno chiesto e ottenuto un finanziamento bancario sono state in Italia il 48%, quasi la metà di quelle tedesche (82%). Non solo. Nel Mezzogiorno il denaro continua a costare di più. Il differenziale dei tassi di interesse tra Sud e Centro-Nord è arrivato lo scorso anno a sfiorare il 35%. Dati sconcertanti. Che riflettono lo stato comatoso in cui si trova la nostra economia reale e spiegano, senza ombra di dubbio, le ragioni del costante calo produttivo del nostro sistema industriale. La crisi, nel suo complesso, sta enormemente aumentando il divario territoriale Nord/Sud, mentre si accentua la marginalità del Paese nell’Eurozona. Inutile sorprendersi, alla luce di questi dati, della cautela con la quale la Commissione europea registra la pallida ripresa che sembra spirare sui nostri lidi. Si tratta di spostamenti dello “zerovirgola”, peraltro in leggera controtendenza rispetto agli abissi toccati negli anni precedenti sul versante del Pil. Niente di cui andare fieri ed orgogliosi, quindi. Semmai c’è da chiedersi come sia stato possibile che soltanto da noi, in Italia, l’approvvigionamento di liquidità fornito alle banche dalla Bce sia servito unicamente ad acquistare buoni del tesoro, di sicura garanzia, e poco o nulla sia andato a finanziare imprese e famiglie. Una simile politica ha, di fatto, zavorrato le banche di titoli di Stato e salvato dal default anche quegli istituti che avevano allargato i cordoni della borsa, concedendo credito a chi non aveva carte in regola quanto ad affidabilità e dotazione patrimoniale.
Altrove si è agito diversamente. Negli Stati Uniti la mano pubblica, grazie alla Federal Reserve e ad un sistema molto diverso da quello europeo, ha costretto le banche a sostenere l’economia reale, promuovendo coraggiose politiche di investimento. Con il risultato che, oggi, l’economia americana è tornata a farsi valere nel contesto internazionale, toccando punte di crescita superiori a quelle segnalate in Oriente. La Germania non è stata da meno nel finanziare il sistema produttivo. La verità è che all’Italia non è stato concesso quel che ad altri è stato permesso. Così il debito pubblico, ancorato ai vecchi parametri di Maastricht, è diventato il mantra con il quale bloccare ogni iniziativa che provasse a dar respiro alla nostra economia. Nata altrove, la crisi dell’euro l’abbiamo dovuta sorbire con tutte le conseguenze, comprese quelle che lo studio della Svimez mette ora in evidenza. E’ il frutto avvelenato delle politiche subalterne e accondiscendenti rispetto ai dettami di Bruxelles. Il volto debole dei governi affidati nelle mani dei tecnici. E dei governi messi su senza alcuna legittimazione popolare.