Renzi ci nasconde la manovra aggiuntiva. E nel Pd l’insofferenza monta

11 Apr 2014 10:21 - di Gennaro Malgieri

È vero, Renzi ha detto che non ci sarà una una manovra aggiuntiva nel 2014. Peccato, però, che alla rassicurazione del premier tenga dietro un silenzio imbarazzato sul futuro. Che cosa accadrà l’anno prossimo? Sfogliamo il Def e scopriamo che tra dodici mesi occorrerà rastrellare cinque miliardi di euro per avvicinarsi all’obiettivo strutturale del bilancio. Questa cifra non poteva certo renderla nota ora Renzi l’illusionista, ad un mese e mezzo dalle elezioni europee. In tanti gli avrebbero voltato le spalle. E neppure i giornaloni hanno ritenuto di mettere in evidenza questo piccolo particolare per non guastare il trionfo che già pregusta il segretario-premier.

Peccato che il Documento di Economia e Finanza sia a disposizione di chiunque voglia leggerlo. E da quando si è diffusa la notizia in tanti si sono premurati di andarlo a spulciare. Anche noi non abbiamo resistito alla tentazione e così vi abbiamo letto: “Nel 2015 il disavanzo strutturale comincerebbe a diminuire di 0,5 punti percentuali, grazie ad una manovra di consolidamento interamente finanziata da riduzioni di spesa pari a 0,3 punti percentuali di pil sul primario. Il pareggio di bilancio in termini strutturali verrebbe conseguito pienamente nel 2016 e sarebbe mantenuto a lungo tutto l’orizzonte di programmazione sino al 2018”.

Traduciamo dal “finanziarese”? È abbastanza semplice. Vuol dire che tre decimi di pil equivalgono a 4,9 miliardi di euro. Ecco, ne restano un po’ di spiccioli per fare cifra tonda. La manovra è servita, ancorché differita al prossimo anno. Non dimentichiamo che per la sciagurata norma che ha inserito il pareggio di bilancio in Costituzione, oltre a ciò che verrà fuori dalla legge di Stabilità di fine anno, il governo dovrà reperire anche tutti gli anni per  i prossimi vent’anni, quarantatré miliardi di euro extra per abbattere un po’ alla volta il debito pubblico. Facendo la somma siamo a cifre iperboliche. Da dove verranno fuori? Ma dalle tasche degli italiani, naturalmente.

Non c’è bisogno di essere grandi economisti per concludere che Renzi dovrà mazzolare  ben bene gli italiani i cui stipendi, pensioni, conti correnti, risparmi vari, investimenti e tutto ciò che afferisce alla protezione dei sempre piú miseri capitali di cui dispone, case comprese, sono a rischio di prelievo o di ulteriori tassazioni. Con buona pace dello statista di Pontassieve al quale non pare vero spargere ottimismo a piene mani come se avessimo davvero imboccato la via della redenzione economica.

Come si può dare credito ad un premier che nasconde sostanzialmente la verità agli italiani?

Renzi non è l’uomo nuovo della politica italiana. È il vecchio travestito. Prima ce ne renderemo conto e meglio sarà. Nel Pd si rumoreggia sempre più forte: molti senatori non vogliono votare la riforma del Senato proposta dal governo; in periferia, soprattutto dopo le decisioni di Renzi sulle liste elettorali per le europee, spirano venti di rivolta; al Nazareno la minoranza alza la voce ed il segretario ha tentato di rabbonirla dicendo che deve seguire le decisioni della maggioranza. Ma non è così che funziona. Il decisionismo è un’altra cosa. Molto differente dalla prepotenza.

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