Costruzioni, queste sconosciute. E all’asilo i nativi digitali sanno usare i tablet e non i Lego
Che ne è stato delle vecchie, care, costruzioni? Di quei simbolici rettangolini e quadratini con cui, strato dopo strato, sono cresciute generazioni di bambini che, incastrando forme e associando colori, ad ogni pezzo hanno edificato piccole conquiste di manualità e sogni di progettualità? Che fine hanno fatto il gioco dell’oca, o la semplicissima Barbie, simbolo di un mondo ludico e di un modo femminile semplice di giocare, che ormai ha abdicato a infinite evoluzioni sul tema, oltre che a innumerevoli eredi del prototipo, sempre più accessoriate, e sempre più forzatamente declinate ai diktat social del momento? E i vecchi sogni di gloria imprenditoriale custoditi nel Monopoli, o le ambizioni strategiche soddisfatte con una mossa azzeccata sulla scacchiera? Tutte sane abitudine in lento, ma inesorabile declino, soggiogate dalla moda virtuale e dall’imperativo categorico per cui, “digito ergo sum, e così gioco”. L’invenzione di fantasia, l’arte dell’arrangiarsi con pochi oggetti, di esprimersi attraverso il gioco simbolico, il tradizionale regalo in scatola, da tavolo, purtroppo sono fossili da museo per i “nativi digitali”, bambini della “generazione smartphone”, abili nell’usare il tablet prima ancora di parlare, ma disorientati di fronte ai mitici Lego e ai classici soldatini.
L’allarme arriva dalla Association of Teachers and Lecturers in Gran Bretagna, ma in realtà sappiamo bene che il contagio di questo virus digitale è purtroppo globale. Una considerazione inquietante che, al di là di facili nostalgie passatiste, di argomentazioni pedagogiche, o di semplici recriminazioni sociologiche, come rimarcato dalla ricerca inglese, si deve all’abitudine all’uso del computer già da piccoli. Cosa che, sempre a detta dell’Associazione britannica, avrebbe effetti negativi sulla concentrazione e sulla capacità di socializzare dei bambini, sempre più isolati in un faccia a faccia informatico alienante quanto costante.
Dunque, oggi, dopo anni di battaglie indette contro l’assuefazione digitale a videogames violenti, che veicolano con crudezza di immagini, messaggi ancor più efferati, ingenerando una sorta di insensibilità al male e di impermeabilità alla violenza – creando, oltretutto, psicosi, sindromi psicotiche e malesseri esistenziali – arriva una nuova conferma di quanto paventato e denunciato fin qui. Tanto è vero che, durante il congresso dell’associazione inglese a Manchester, sono stati raccolti diversi esempi di effetti deleteri dell’uso del computer. «Ho parlato con alcune maestre di scuola materna – ha spiegato Colin Kinney, uno degli insegnanti dell’associazione, al Guardian – e sono preoccupate per il numero sempre più alto di bambini che sanno come far scorrere uno schermo, ma hanno poche, se non nessuna, abilità manipolative con le costruzioni, o non sono in grado di socializzare con gli altri». Così, palesato il sintomo, identificata la diagnosi, è stata prescritta la terapia: tanto che, la principale associazione di pediatri britannici ha già emanato delle linee guida in cui si mette all’indice l’esposizione a smartphone e tablet sotto i due anni, e si consiglia di limitarla a un’ora al giorno nei bimbi più grandi. Roba da far passare sulla lavagna dei buoni e cattivi la vecchia “cattiva maestra” tv dalla parte dei media meno nocivi. Potere (e degenerazione) del progresso…