Sorelline uccise a Lecco dalla mamma: ultime vittime di una lunga catena di sangue

10 Mar 2014 11:50 - di Priscilla Del Ninno

«Ero disperata, sono stata io». E il terribile dubbio si trasforma in agghiacciante verità: è stata la madre, la trentasettenne di origini albanesi,  Edlira Dobrushi, a uccidere a coltellate le sue tre figlie, Simona, Casey e Sidney, di 14, 8 e 3 anni. Prostrata e confusa, la donna è crollata sotto il fuoco di fila delle domande dell’interrogatorio, terminato nel peggiore dei modi, con la tragica confessione che ha portato all’arresto della mamma omicida.
E tra la rapida soluzione del giallo e la presa di coscienza di quanto accaduto, c’è stato persino il tempo della polemica politica: Il Giornale, infatti, ironizzando sulla frase rilasciata dal ministro dell’Interno e leader del Ncd, Angelino Alfano, che intervistato sul caso da Sky aveva dichiarato – a giallo risolto – «prenderemo l’assassino», ha incautamente buttato in farsa una tragedia inaccettabile. «Circostanze come queste – ha detto allora a riguardo la parlamentare del Nuovo centro destra Barbara Saltamartini – imporrebbero il massimo rispetto per le persone coinvolte, e utilizzarle con una clava da abbattere contro il nemico politico è davvero vergognoso. Anche il più distratto osservatore – ha quindi concluso – sa bene che il ministro parlava in diretta, ospite di una trasmissione televisiva in cui si è espresso con cuore e sensibilità di genitore, a pochi istanti dalla notizia, quando ancora la madre non aveva confessato». Quando cioè, la rivelazione purtroppo temuta dagli inquirenti di Lecco sin dalle prime ore, era ancora solo un sospetto. L’inizio: il primo passo verso un baratro di orrore che, via via che le indagini procedono, rimette al proprio posto le varie tessere del dramma: eppure, il mosaico di tanta disperazione resta senza un perché.

Un orrore sconcertante, purtroppo vissuto in pieno da almeno una delle tre giovani vittime: due sorelline sarebbero state colpite nel sonno, ma la più grande sembra abbia provato a reagire all’agguato mortale; un triste sospetto alimentato dal riscontro di una telefonata arrivata nella notte tra sabato e domenica ai centralini del 112 di Lecco. Chi prende la chiamata riesce a distinguere solo urla e toni concitati, poi il silenzio: la linea cade bruscamente, e anche il flebile alito di vita della terza figlia aggredita si spegne inesorabilmente. Solo quattro ore dopo, il vicino di casa a cui la madre assassina si è presentata all’alba di domenica, avrebbe parlato con il 118. All’uomo, la trentasettenne albanese si è presentata come una maschera di sangue, e in stato confusionale avrebbe detto: «Le mie figlie non ci sono più». Appena giunti sul luogo della terribile mattanza, i carabinieri di Lecco e i soccorsi hanno trovato infatti i tre corpicini insanguinati, ordinatamente ricomposti sul letto matrimoniale della camera dei genitori. Ma c’è di più: dai particolari che emergono dalle indagini sulla dinamica del triplice delitto di Lecco, si evince anche che Edlira Dobrushi ha ucciso le figlie utilizzando due coltelli, e che poi ne ha rivolto uno verso se stessa tentando il suicidio, ferendosi però in modo non grave ai polsi e agli avambracci. Tanto che ora la madre, che è stata arrestata, è piantonata in ospedale.
Sembra che all’origine del gesto ci sia la separazione dal marito, Bashkim Dobrushi, padre delle tre bimbe uccise, che pare avesse da poco iniziato una nuova relazione con un’altra donna. L’uomo, che gli investigatori dovrebbero ascoltare nelle prossime ore, è stato raggiunto telefonicamente da un parente mentre era in viaggio, diretto in Albania. Letto con questa chiave, allora, il triplice omicidio sembra proprio la tragica conseguenza della sindrome di Medea, una patologia che negli ultimi anni ha afflitto molte donne, macchiatesi appunto del più inaccettabile del delitti. Edlira Dobrushi, allora, si aggiunge tristemente al lungo elenco di mamme che hanno dato, spesso purtroppo in maniera feroce, la morte ai propri figli, senza risparmiarne nessuno. Madri assassine, finite nelle pagine di cronaca e archiviate nella memoria collettiva: un ricordo che si rinnova dolorosamente ad ogni nuova carnefice, ad ogni nuova piccola vittima.

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