Povera Forza Italia, senza leader e senza nemico. Ma gli ex-An rimasti lì possono salvarla

19 Mar 2014 14:07 - di Mario Landolfi

È affollato il capezzale di Forza Italia. La Cassazione ha confermato l’interdizione dai pubblici uffici per due anni a Berlusconi costringendolo a rinfoderare ogni proposito di candidarsi alle Europee del prossimo maggio. Una decisione destinata a rendere ancor più complicato e doloroso il travaglio degli “azzurri”. Non è per niente facile per un movimento in tutto e per tutto dipendente dal leader ritrovarsi acefalo. E poco importa se la sentenza sia tutt’altro che un fulmine a ciel sereno. La trazione carismatica di un movimento politico fa coincidere esattamente il corpo del capo con la frazione di corpo elettorale che vi si riconosce. Ora che il primo è estromesso dalla competizione elettorale, è serio e concreto il rischio che decida di astenersene anche il secondo.

Responsabilità enorme ricade sullo stesso Cavaliere, da sempre allergico a veder condizionata la propria leadership dal confronto e da prassi democratiche, persino quando il logoramento ne rendeva indifferibile la necessità. E infatti l’attuale Forza Italia è un partito messo sottosopra da iniziative personali, fughe in avanti, cerchi magici e conati ribellistici. Una vera e propria Babele dove ciascuno parla una lingua incomprensibile agli altri in attesa che il capo ripristini una koinè in grado di ricompattarli, sempreché – beninteso – la micidiale miscela tra gli effetti della condanna principale (affidamento in prova ai servizi sociali o arresti domiciliari) e quelli della sanzione accessoria (interdizione) consenta a Berlusconi di poteci almeno tentare. Vedremo. Nel frattempo, è il caos a regnare: la Santanché raccoglie firme per la grazia al Cavaliere nell’ostilità generale della nomenclatura, Brunetta offre a Renzi un patto per le riforme e non si capisce a quale titolo mentre nelle regioni meridionali è autentica balcanìa con i ras territoriali vogliosi di contarsi per rientrare nell’inner circle di Palazzo Grazioli.

È evidente che l’assetto proprietario – aggravante forzista della trazione carismatica – è sempre più inadeguato a contenere spinte personalistiche e pressioni territoriali. Ma sulla crisi “azzurra” pesa anche il “fattore Renzi”, che ha sbianchettato dal Pci-Pds-Ds-Pd l’etichetta di nemico disarmando i moderati dall’atavica paura del comunismo. E questo spiega perché né il Ncd di Alfano né i “Fratelli d’Italia” della Meloni sembrano, almeno per il momento, approfittare elettoralmente della crisi forzista. Per il centrodestra una perdita secca, su cui dovrebbe riflettere chi ha pensato di tornare allo “spirito del ’94” per recuperare freschezza in immagine e voti perduti. L’attualità politica ci spiega quanto illusoria fosse tale prospettiva e come sarebbe stato invece decisivo interrompere l’inveterata prassi del “servo encomio” per guardare in faccia alla realtà senza ipocrisie e convenienze. Persino i bambini sanno che una leadership come quella berlusconiana non può essere surrogata senza pagare pegno in termini di consensi mentre quelli più cresciuti sono già consapevoli che un’organizzazione adeguata ed una classe dirigente credibile possono renderne meno salato il conto. Che sia tardi o no, bisogna tentare. E considerino, gli orfani dello “spirito del ’94”, se non sia il caso di passare il cassetto degli attrezzi agli ex-An rimasti in Forza Italia: non saranno forse grandi ingegneri della politica, ma come si fa la manutenzione di un partito – lì dentro – lo sanno meglio di tutti.

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