Nella vittoria del Fn c’è la risposta alla rassegnazione e alla delusione per Sarkò

25 Mar 2014 15:07 - di Silvano Moffa

Marine Le Pen ha un grande merito: quello di aver fatto saltare le intoccabili certezze degli eurottimisti. Non solo. La sua irruente vittoria nelle amministrative francesi, peraltro del tutto prevedibile, ha fatto letteralmente saltare in aria il veteroschematismo Destra/Sinistra, imponendo un modello nazional-popolare che rompe vecchi luoghi comuni e mette in crisi la classe dirigente al potere con i relativi partiti di apparteneneza. Non si tratta soltanto di capacità di intercettare paure e  insicurezze che agitano nel profondo la società francese, come, d’altro canto, avviene nelle altre nazioni europee  scosse dalla Grande Crisi. Nel suo successo si legge dell’altro. C’è una risposta alla rassegnazione che mortifica i popoli; c’è una esigenza di nazione e , insieme, di recupero di sovranità; c’è il  rifiuto di una Europa guidata dalle tecnoburocrazie e colonizzata dalla Germania; c’è un vuoto di rappresentanza di cui soffrono i ceti medi, dopo le”cure” rigoriste di Bruxelles, e il loro sistematico impoverimento a colpi di imposte, tasse e balzelli di varia natura. C’è, insomma, un popolo che non ce la fa più, e che ora ripone ogni speranza in un movimento politico, il Front Nazional di Marine Le Pen, che ha saputo rinnovarsi nello stile e nel linguaggio, depurarsi di un residuo folklore neofascista e prendere di petto le questioni essenziali messe in luce dalla Grande Crisi. Questioni che si chiamano: mercatismo, globalizzazione, elitismo delle classi dirigenti, con tutti gli annessi e connessi, nuove diseguaglianze , differenti modelli di vita. È nelle pieghe di una frattura sociale senza precedenti che vanno rintracciati gli elementi di un trionfo  e spiegata la complessità  di un movimento che è riuscito ad offrire una opzione nuova e vincente ad una Francia imbolsita dall’evanescenza di Hollande e delusa dall’avanspettacolo di Sarkozy. Se questa è la lezione che giunge da Oltralpe , è bene però riflettere sui possibili scenari futuri. Non ci riferiamo, è bene precisare, alle possibili alleanze dei partiti anti-euro che pure sembrano delinearsi in vista delle prossime elezioni europee. Staremo a vedere quale spinta Marine Le Pen potrà dare nella costruzione di un asse che possa dire la sua a Strasburgo, contando su un gruppo consistente di parlamentari. C’è da scommettere che, di qui a maggio, saranno in molti a cavalcare l’onda di indignazione e di protesta che sale in Italia e in Europa di fronte ai diktat della Merkel e al rigore che toglie respiro alla crescita ed alla ripresa economica degli Stati dell’Unione. La Storia insegna che ogni qual volta sono cambiati i sistemi dei corsi valutari, questo è avvenuto in circostanze spesso confuse e caotiche. Quando la Gran Bretagna uscì dallo Sme nel 1992, lo fece perchè costretta dalla speculazione e perchè non era in grado di opporsi alla forza dei mercati finanziari. Ma dovette farlo soprattutto perchè il governo, all’epoca guidato da John Major, non seppe proporre  nulla di diverso. Un po’ come è accaduto recentemente in Europa, quando si è imposto il Fiscal Compact e si sono dettate le regole stringenti del Patto Finanziario. Nesun governo, di Destra o di Sinistra, conservatore o socialdemocratico, è riuscito a fornire una idea diversa. Al massimo si è discusso di qualche aggiustamento sull’uso dei fondi europei, senza  mai intaccare la filosofia dominante dell’euro-conservatorismo. Ora non ci vuole l’indovino per immaginare che nei prossimi anni, anche per questioni geopolitiche e geoeconomiche non indifferenti (caso Crimea-Russia docet), lo scenario con ogni probabilità diventerà più caotico. Secondo alcuni studi prospettici, una serie di Paesi potrebbero lasciare l’eurozona. Con conseguenze facilmente intuibili.  Al contrario, dovrebbe essere possibile a un piccolo gruppo di Paesi dell’Europa del Nord restare dentro l’euro, lasciandosi trainare dalla locomotiva tedesca. L’altra metà del problema dell’euro, rappresentata dai Paesi dell’Europa del Sud, i più colpiti dalla crisi, potrebbe trovare una sua soluzione nello sviluppo di un nuovo sistema cooperativo , incentrato sul Mediterraneo. Ad una uscita caotica e singolare dall’eurozona può contrapporsi “una forma negoziata di una sua evoluzione in due zone distinte e coordinate, l’area del Nord Europa e quella dell’Europa del Sud”. E’  la tesi di economisti come Amoroso e Jespersen. Una tesi che sta facendo breccia anche in ambienti finora molto riottosi a prendere in esame proposte non conformiste. In questa nuova dimensione, l’Italia avrebbe un ruolo essenziale. Potrebbe finalmente “uscire dal vassallaggio, sottraendosi ai vincoli politici che la Ce e la finanaza internazionale hanno imposto al governo del Paese, mediante l’esproprio della democrazia, nelle sue forme e nei suoi contenuti”. L’Italia potrebbe riscoprire il ruolo autonomo della sua politica nazionale ed europea, e dare ” un contributo originale alla rifondazione di un pensiero nazionale e politico adeguato alle sfide che la crisi e la situazione internazionale pongono all’Europa”. La determinazione di due aree europee , di due poli di riferimento di una nuova cooperazione europea nell’ambito di sistemi omogenei, aprirebbe nuovi scenari anche nei rapporti con la Russia – dopo le vicende della Crimea, fortemente compromessi -, l’Estremo Oriente e gli altri Paesi mediterranei. È una idea su cui converrebbe riflettere. Non c’è niente di più sciagurato che il lasciar fare, il lasciare andare. Fino alla dissoluzione totale, alla rinascita dei conflitti interstatali, al perenne vassallaggio verso la Germania.

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