Vacilla l’asse tra Forza Italia e il sindaco di Firenze. “Matteo ci sta deludendo, potrebbe bruciarsi subito a Palazzo Chigi”

13 Feb 2014 10:25 - di Antonella Ambrosioni

C’è delusione in casa Forza Italia per la decisione di Matteo Renzi di mettersi alla guida di una “operazione di Palazzo”, come viene letta da Silvio Berlusconi. L’impressione fino a poco tempo fa era totalmente diversa. Si è rotto l’“incantesimo”? A l di là delle considerazioni personali e prima di intervenire ufficialmente, il Cavaliere attende il “redde rationem” alla direzione del Pd tra il segretario e il premier Enrico Letta. La possibilità che Renzi si “bruci” a palazzo Chigi può anche tornare utile per la prossima campagna elettorale di Forza Italia; ma quello che Berlusconi vuole che sia chiarito presto è il timing che Renzi intenderà dare alle riforme. Su un punto, comunque, non ci devono essere dubbi o sorprese: Forza Italia resterà all’opposizione, anche di un governo a guida Renzi. Un concetto ribadito anche dal Giovanni Toti, consigliere del Cavaliere, che ancora una volta ricorda come l’eventuale nuovo esecutivo guidato dal sindaco fiorentino rappresenterà «il terzo governo nato senza un passaggio elettorale». Il Cavaliere, dando per scontato il cambio in corsa Palazzo Chigi, si concentra sulle contromosse. La premessa a tutto il ragionamento è che l’operazione non è gradita: non erano questi i patti – avrebbe detto Berlusconi ai suoi – anche perché la linea era quella di fare le riforme e poi tornare al voto. L’obiettivo rimane dunque quello di ritornare alle urne, ma non subito. L’organizzazione del partito come l’ha pensata il Cavaliere ancora non è pronta e poi c’è l’impegno a cambiare la legge elettorale. Un obiettivo a cui l’ex premier non rinuncia, anzi è quello il motivo per cui in fondo accetta l’idea che possa andare Renzi a Palazzo Chigi.

Le riforme rimangono al centro dell’agenda di FI, ma condizioni ben precise: Renzi –  è stato il ragionamento del Cavaliere – sa che abbiamo siglato un patto. Se si cambia senza il nostro consenso, noi non ci stiamo. Una considerazione che nasconde la preoccupazione dell’ex premier che, una volta premier, il leader Dem tenti (d’intesa anche con il resto degli alleati) di allungare i tempi delle riforme: non possiamo sostenere una cosa del genere – avrebbe detto l’ex capo del governo – perché noi teniamo alla nostra gente. Il fattore tempo quindi diventa determinate, così come l’atteggiamento da tenere verso il nuovo governo. Se la linea è quella della responsabilità sulle riforme, questo per Forza Italia non significa consegnare al nuovo premier una delega in bianco su tutto. Anche perché, e Berlusconi lo sa bene, un atteggiamento critico verso l’esecutivo da parte di Forza Italia fino ad ora ha pagato nei sondaggi. Il rischio di un ammorbidimento – è la spiegazione – sarebbe tutta a vantaggio del Movimento Cinque Stelle. Insomma, sulla possibile nascita del nuovo governo c’è un malumore crescente che viene per ora sedato in attesa di capire quale mossa ha in mente il segretario del Pd.

Interviene dalle colonne di Avvenire il consigliere politico di Berlusconi Giovanni Toti, anche lui scettico sulla “staffetta” possibile a Palazzo Chigi: «Non so quanto potrebbe reggere Renzi al governo. Finora abbiamo assistito a uno scontro di potere, non a un confronto di idee». Comunque, assicura, in caso Renzi diventasse premier, l’atteggiamento di Fi verso le riforme non cambierebbe: «Berlusconi è un uomo che sta ai patti». Certo, evidenzia, «le riforme camminano se in contemporanea c’è un governo che fa cose utili per il Paese. Un governo che non fa nulla e resta al potere per molto tempo è più dannoso di uno che non fa nulla e dura di meno». E alla domanda se la “luna di miele” tra Renzi e Silvio Berlusconi sia già finita, risponde: ‘«La simpatia di Berlusconi per Renzi c’è, ed è dovuta al fatto di aver trovato nel Pd finalmente un interlocutore che dice di voler fare delle cose utili per il Paese». Tuttavia non si può non vedere come il segretario del Pd «dopo aver fatto della distanza con il Palazzo la cifra della sua politica, ora «entrerebbe al governo con una manovra di Palazzo».

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