Il “Corriere della Sera” viaggia in ritardo e diventa leghista fuori tempo massimo

3 Gen 2014 9:49 - di Mario Landolfi

Qualcosa di serio deve senz’altro bollire nel pentolone della politica nazionale se è la firma di Angelo Panebianco ad annunciare sul Corriere della Sera il ritorno del Nord come grande questione “irrisolta”. Al netto di ogni prudenza e di qualsiasi ipocrisia l’editorialista sostiene che il principio cardine della Seconda Repubblica – la coincidenza del “primato economico-territoriale” con “l’egemonia politica” – può finalmente concretizzarsi nella nuova fase propiziata dall’irruzione di Renzi, a condizione – ovviamente – che il Rottamatore non si lasci irretire più di tanto dalla natura “romano-centrica” del suo Pd né si faccia rottamare a sua volta dalle logiche buro-ministeriali, sempre decisive nel determinare il tasso di qualità della decisione politica. Giusto o sbagliato?

Non è questa la sede per polemiche prive di senso né aiuterebbe più di tanto passare in rassegna la provenienza territoriale dei presidenti del Consiglio degli ultimi vent’anni (Berlusconi è nato a Milano, Dini a Firenze, Prodi a Scandiano, nel reggiano, Amato a Torino, D’Alema a Roma, Monti a Varese e Letta a Pisa). Di certo avrebbe più senso evidenziare come l’ultimo governo di centrodestra abbia recato un’impronta lombardo-sicula (la Sicilia, come sostiene Luca Ricolfi, elettoralmente parlando, è una costola del Nord) mentre una regione come la Campania – la prima del Sud e seconda solo alla Lombardia per popolazione – poteva contare sul ministro delle Pari Opportunità, su quello dell’Attuazione del Programma ed infine sul titolare dei Rapporti con il Parlamento. Decisamente poco per impedire o ritardare l’auspicata realizzazione delle doppia egemonia nordista. Neppure può sfuggire a Panebianco il peso esercitato da un lombardo come Tremonti nelle politiche di bilancio o il ruolo giocato dal livornese Ciampi per inserire l’Italia nel gruppo di testa dell’euro. Così come non può essere taciuto che la parodia del federalismo realizzato in pari misura da centrodestra e centrosinistra ha avuto come destinatario principale, se non addirittura esclusivo, la cosiddetta Padania.

Questi sono fatti. Perciò la recriminazione di Panebianco circa una questione settentrionale ancora intatta per l’impossibilità o l’incapacità di Bossi e Berlusconi di piegare il gommoso sottobosco romano, risulta in tutto simile al lamento di quei politici che preferiscono nascondere i propri fallimenti dietro la presunta ostilità di non meglio specificati poteri forti. E resta sempre da spiegare perché se a sbagliare è un politico meridionale la sua provenienza territoriale è un’aggravante mentre se a fallire è un ministro settentrionale il luogo di nascita diventa, d’incanto, un’esimente. A ben guardare, il rischio insito nell’analisi del Corriere sta proprio nella pretesa di ridurre la secolare questione politica del dualismo nord-sud in un problema geografico risolvibile ripristinando un’Italia a trazione nordista. Dimentica, Panebianco, che è stata proprio questa impostazione – necessitata 150 anni fa da ragioni interne ed internazionali – a contribuire fortemente alla nascita ed al consolidamento degli attuali squilibri.

In realtà, occorre l’esatto contrario e cioè la rifioritura di una nuova cultura in grado di archiviare l’ubriacatura regionalista e federalista e di promuovere un autentico pensiero nazione. L’Italia ne ha bisogno come l’aria. Se, infatti, quella affogata nelle inchieste di Tangentopoli è stata una repubblica senza nazione, basata su una democrazia senza alternanza alimentata da un popolo senza sovranità, quella che ne ha preso il posto ha visto il succedersi al governo tra un asse del Nord ed un blocco sociale dei garantiti, costituito da industria assistita, conservatorismo sindacale e potere locale, anch’esso formato in gran parte da soggetti stabilmente residenti nella parte alta dello Stivale. Insomma, un vero derby padano. E la destra? Finché ha potuto e finché vi ha creduto ha tentato (male) un gioco d’interdizione finalizzato al recupero di una cultura nazionale, ma alla fine è risultata troppo prigioniera di antichi complessi per poter incidere. Quindi vi ha rinunciato fino ad annullare ogni differenza con Forza Italia. Per questo, ora che la questione settentrionale sembra destinata a riacquistare smalto anche grazie all’autorevolissima sponsorizzazione del Corriere (Gian Antonio Stella, autore di un recente libro sugli sprechi delle ragioni meridionali, è un’altra delle sue firme di punta), è necessario che chi si candida a rappresentare la destra non dia nulla per scontato né in termini di alleanze né di posizionamento. La nazione sempre prima della fazione. In fondo, è questa la vera rivoluzione di cui l’Italia ha davvero bisogno.

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