Gli agenti condannati per l’omicidio Aldrovandi tornano in servizio. Il padre: è l’ultima violenza a mio figlio

27 Gen 2014 10:52 - di Redattore 54

Ancora una tappa dolorosa nella tragedia della famiglia di Federico Aldrovandi, il giovane ucciso nella sera del 25 settembre del 2005 dopo essere stato fermato e malmenato da 4 agenti. A Ferrara i poliziotti condannati per omicidio colposo torneranno in servizio tra fine gennaio e inizio febbraio e il padre del giovane che è stato picchiato a morte protesta: “Questa è l’ultima violenza inflitta a mio figlio”, ha scritto. Federico, quella sera è morto per le percosse ricevute. C’è una sentenza che lo attesta. La giustizia, riconoscendo la responsabilità dei quattro agenti li aveva condannati a tre anni e mezzo di detenzione. Grazie all’indulto però, dopo aver scontato solo sei mesi, sono pronti a indossare di nuovo la divisa e a rappresentare la legge. Per il padre di Federico, Lino Aldrovandi questo non è certo un lieto fine. Ha quindi scritto ai poliziotti una lettera dal titolo “La mancanza colposa dell’onore” in cui interroga soprattutto le istituzioni sull’opportunità di un loro ritorno al lavoro e ricorda i giudizi vergati dai magistrati sulla loro condotta. “Vorrei testardamente continuare ad avere fiducia nelle istituzioni, e vedere uno stato cominciare a mostrare di essere forte con chi abbia ad infangare una qualunque divisa… Come? Allontanando da subito, o almeno cautelativamente, chi non sia in grado nei suoi ruoli di adempiervi correttamente, magari senza premiarlo invece come troppe volte incredibilmente accade. Riconoscere gli orrori e gli errori, vorrebbe dire anche crescere democraticamente. Vorrebbe dire acquisire credibilità, rispetto e dignità di fronte alla sacralità della vita violata di vittime inermi e innocenti e del dolore lancinante e assurdo dei loro cari costretti a sopravvivere e sempre alla ricerca di una normale verità e di una normale giustizia”.

I quattro agenti, tra cui una donna, sono stati difesi a spada tratta dal sindacato di polizia Coisp, che organizzò sotto casa della madre di Androvandi un sit in di protesta di dubbio gusto (in seguito alle polemiche sorte sull’iniziativa con il Coisp si schierarono Balboni – FdI – e Potito Salatto – Fli). Spesso il caso è stato anche al centro di un lacerante dibattito politico come quando, in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria a Bologna alla madre di Aldrovandi, la Lega abbandonò l’aula consiliare scagliandosi contro una decisione del sindaco Pd definita una “marchetta”. Anche Carlo Giovanardi (ex Pdl oggi Ncd) ha fatto sentire la sua voce in difesa dei quattro agenti che, secondo il parlamentare, avrebbero solo fatto il loro dovere. Dal quadro si evince come quello di Aldrovandi sia stato un ennesimo caso strumentalizzato dalla politica (la destra con le forze dell’ordine e la sinistra contro) secondo uno schema anacronistico che vorrebbe i difensori dell’ordine da una parte e i paladini delle libertà dall’altra. Uno schema che è venuto il momento di infrangere in nome del diritto di tutti i cittadini ad avere a che fare  con una polizia che sa punire gli eccessi, riconoscere gli errori e allontanare chi non è degno della divisa. Un’esigenza che va al di là della destra e della sinistra. Un’esigenza che è di tutti.

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