Electrolux, quando un’azienda fa lotta di classe (contro i lavoratori)
Ha un bell’ammonire, Bankitalia, sul fatto che un italiano su sei vive con meno di 670 euro al mese e che il 14 per cento delle famiglie è a rischio di “povertà assoluta”. Ha un bel dire, sempre Bankitalia, che la nostra società si sta impoverendo perché la metà delle famiglie stesse vive con meno di 2000 euro al mese (il che vuol dire, che, se in casa entrano due stipendi, ma di misera entità, non si tira avanti). Hanno un bell’avvertirci, Istat e vari istituti di ricerca economica, che la compressione dei salari è un ostacolo alla crescita. Hanno un bell’avvertire, premi Nobel e insigni economisti, che l’abbattimento del costo del lavoro non è la via migliore per lo sviluppo e per la competitività del sistema industriale. Il problema è che la cosiddetta “economia reale” segue spesso logiche assai diverse, logiche assai poco “illuminate”, dove il profitto è inseguito, non grazie alla valorizzazione del “capitale umano”, ma attraverso la riduzione del lavoro a “merce” sempre più svalutata.
Il caso dell’Electrolux è, in tal senso, drammaticamente emblematico. È una proposta shock, quella della multinazionale svedese, per il mantenimento dei suoi quattro stabilimenti in Italia. Si parte da un drastico taglio dei salari, che porterebbe gli stipendi, oggi calcolati in 1.400 euro al mese, a circa 700-800 euro. Il piano dell’Electrolux prevede inoltre un taglio dell’80 per cento dei 2.700 euro di premio aziendali, la riduzione delle ore lavorate a sei, il blocco dei pagamenti delle festività, la riduzione di pause e lo stop agli scatti di anzianità. Va bene che siamo (per fortuna) assai lontani dai tempi in cui furoreggiava “il salario variabile indipendente” , secondo la famigerata formula escogitata da Luciamo Lama. Ma, passare dal potere operaio al ricatto antioperaio, è una inquietante bizzarria della storia. Poi è probabile ( o quantomeno auspicabile) che il confronto con i sindacati e l’eventuale intervento di Governo e Regione conducano a una soluzione di compromesso, più o meno dignitosa. Ma il fatto rimane preoccupante. Perché è il sintono di una degenerazione del sistema delle relazioni industriali e di una inettitudine strutturale della politica a favorire un nuovo patto sociale, che tenga insieme esigenze d’impresa e valorizzazione del lavoro.
Si intravedono in controluce, nella proposta dell’Electrolux, i contorni di una tendenza che sta prendendo piede in una parte delle neoborghesia industriale e finanziaria. Si tratta di un’inedita forma di lotta di classe: non del proletariato contro la borghesia, ma questa volta della borghesia contro il proletariato ( o quello che ne rimane). Ne ha parlato, tra gli altri, Luciano Gallino in un libro uscito un annetto fa. Ma, indipendentemente dalle tesi del sociologo torinese, un fatto dovrebbe essere assodato (almeno spero): chi in passato, in nome di un ideale nazionale, si batteva contro l’idea della lotta di classe nella sua formulazione marxista–leninista, dovrebbe oggi, in nome della stessa visione nazionale, opporsi all’affermazione di una lotta di classe al contrario, egualmente corrosiva della coesione sociale quanto nemica dell’umanesimo del lavoro.