Sos “made in Italy”: dopo il vino senza uva, arriva il prosciutto doc fatto con maiali stranieri
Dopo il pollo agli antibiotici, le uova alla diossina, il latte tossico. La mozzarella che diventa blu, i cibi scaduti rimessi sul mercato, l’olio adulterato, e il vino senza uva, tutti “classici” della sofisticazione, pensavamo che lo scandaloso capitolo delle frodi alimentari avesse già ampiamente oltrepassato il limite delle colonne d’Ercole dell’immaginabile: ci sbagliavamo. E ce lo sottolinea un’indagine della Coldiretti che sulla base di percentuali e raffronti, sferra l’ultimo, indigesto pugno nello stomaco dei consumatori. Un colpo sotto la cintura, che infierisce sulla salute e getta discredito su un marchio inossidabile – nonostante tutto – come quello del Made in Italy che, a detta del report, contiene materie prime straniere per circa un terzo (33%) della produzione complessiva dei prodotti agroalimentari venduti in Italia ed esportati con il marchio tricolore, con i consumatori che – oltre al danno subiscono la beffa – sono all’oscuro di quanto avviene alle loro spalle (e di quello che ripongono nelle loro dispense).
Così, nel dossier presentato dalla Coldiretti nell’ambito della mobilitazione che l’organizzazione agricola sta svolgendo al valico del Brennero contro le importazioni di bassa qualità spacciate come italiane, apprendiamo che quel poco che era rimasto fuori dall’escherichia coli che ha invaso trasversalmente alimenti e marchi fino ad oggi, finiscono ora sul libro nero dei controlli: e così, non superano l’esame neanche il prosciutto, la (solita) mozzarella e la pasta, i fiori all’occheiello della nostra produzione, insieme ad altri alimenti, emblemi gastronomici dell’italianità. «Gli inganni del finto Made in Italy sugli scaffali – denuncia senza giri di parole il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo – riguardano due prosciutti su tre venduti come italiani ma fatti con maiali allevati all’estero. Inoltre tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro sono stranieri senza indicazione in etichetta; oltre un terzo della pasta è ottenuta da grano non coltivato in Italia, e la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate straniere». Motivo? Il solito: ottimizzare i costi infischiandosene del risultato; basta abbellire la cornice per impreziosire il quadro. «La presenza di ingredienti stranieri nei prodotti alimentari realizzati in Italia – spiega infatti Coldiretti – è dovuta alla ricerca del rifornimento a basso costo e senza preoccupazioni per le conseguenze sulla salute: perciò finisce nel piatto dal concentrato di pomodoro cinese all’olio di oliva tunisino, dal riso vietnamita al miele cinese». Che vanno ad aggiungersi, come noto, alle arance tunisine (in spregio ai tarocchi siciliani); ai pelati cinesi, alle mozzarelle tedesche, all’olio turco e al pecorino del Caucaso, che hanno invaso le nostre tavole con prezzi fai da te e confezioni inattendibili. Per non parlare delle alterazioni chimiche che “ringiovaniscono” il pesce che dovrebbe essere “fresco”, o del latte di mucca sbiancato con calce e soda e proveniente dalla Colombia o dalla Bolivia, che i Nas hanno individuato essere l’illecita alternativa all’utilizzo (anch’esso improprio) di latte in polvere nella fattura delle mozzarelle di bufala. Una lista della spesa contraffatta che non sembra avere fine, che la Coldiretti estende a diversi settori alimentari. E allora, cita tra i vari esempi l’organizzazione agricola, «solo nell’ultimo anno sono scomparsi in Italia 615.000 maiali per lasciare spazio alle importazioni di carne di bassa qualità dall’estero». Un sistema che sembra aver oliato gli ingranaggi per contrastare il quale, ha concluso il presidente Moncalvo riferendosi alla completa attuazione delle leggi sulla etichettatura obbligatorie d’origine, «è necessario che sia resa trasparente l’indicazione dei flussi commerciali con l’indicazione delle aziende che importano materie prime dall’estero, e che venga bloccato ogni finanziamento pubblico alle aziende che non valorizzano il vero Made in Italy dal campo alla tavola». Sperando che il meglio della nostra produzione e tradizione culinaria non diventi prima o poi, visto l’andazzo, roba clandestina da nascondere in un passaggio segreto che si apre dietro il frigorifero…