Il Tibet non si piega: «No alla bandiera cinese». E la polizia spara sulla folla

8 Ott 2013 17:26 - di Antonio Pannullo

Il Tibet continua a non piegarsi all’invasore cinese, anche se il mondo rimane indifferente. Nuovi gravi incidenti si sono registrati domenica nella regione occupata dalla Cina popolare dal 1950. La polizia cinese ha sparato su una folla di manifestanti ferendone 60, alcuni in modo grave, nella contea di Nagchu nella regione di Driru, in quella che viene chiamata regione autonoma del Tibet. Lo ha riferito Radio Free Asia. La folla si era adunata per chiedere il rilascio di un abitante della zona arrestato la scorsa settimana per aver guidato una protesta contro l’ordine delle autorità cinesi di far sventolare la bandiera cinese sulle abitazioni della zona. La gente è accorsa domenica in massa nei pressi dell’abitazione del detenuto, Dorje Draktsel, ma la polizia è subito intervenuta per disperdere la folla. Gli agenti, secondo alcuni testimoni che erano sul posto, hanno aperto il fuoco e molte persone sono state colpite alle gambe e alle braccia. Parecchi sono caduti a terra privi di sensi. La polizia ha anche usato gas lacrimogeni. Alcuni dei manifestanti hanno raccontato di essere stati brutalmente picchiati. La polizia, per evitare il diffondersi delle notizie, ha sequestrato cellulari e macchine fotografiche e ha bloccato molte delle strade di accesso alla zona. Interrotte anche le linee internet. Lo si è appreso due giorni dopo i fatti, come spesso capita quando le notizie hanno a che fare con le repressioni dei cinesi nei confronti del popolo tibetano. È da giovedì scorso che le forze di sicurezza cinesi hanno deciso di tenere sotto stretto controllo la contea, a seguito del rifiuto degli abitanti di issare la bandiera cinese sulle loro case in vista della festa nazionale cinese che cadeva il 1° ottobre. Lo riferiscono fonti di organizzazioni che si battono per il Tibet. Oltre 18.000 agenti presidiano l’area dallo scorso 10 settembre, e ci sono stati anche scontri che hanno portato all’arresto di almeno 40 persone. Alcuni villaggi, come Mowa e Monchen, dove c’è stata la rivolta dei cittadini locali contro l’obbligo della bandiera cinese, sono circondati dalle forze di sicurezza cinesi. Agli arrestati, oltre che ai feriti durante gli scontri, sono state negate le cure in ospedale, mentre ai rivoltosi è stato minacciato di non permettere ai loro figli di andare a scuola. Oltre 1.000 tibetani hanno manifestato organizzando anche uno sciopero della fame di 24 ore per chiedere la liberazione dei prigionieri, poi concessa. Intorno ai villaggi sono stati istituti posti di blocco che controllano tutti coloro che intendono entrare o uscire.

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