Giustizia all’italiana: innocente resta 5 mesi in carcere, risarcito con 35mila euro
Era stato rinchiuso per cinque mesi in carcere con l’accusa di aver spacciato una dose di eroina che aveva provocato la morte di un tossicodipendente. Alla fine del processo, però, era stato assolto con formula piena e scarcerato, perché era emerso che lui quel giorno stava semplicemente rientrando a casa dal lavoro e che, sfortunatamente, in quel percorso il suo telefono aveva agganciato una cella ”compatibile” con il luogo dello spaccio. Per l’uomo, un egiziano di 30 anni, la quinta sezione penale della Corte d’Appello di Milano ha disposto un risarcimento a titolo di «ingiusta detenzione» di 35.250 euro. La «domanda di riparazione per ingiusta detenzione» era stata presentata nei giorni scorsi dall’avvocato Mauro Straini, legale dell’egiziano, assolto il 2 marzo 2010 dopo essere finito in carcere il 3 ottobre 2009 «per un totale di 150 giorni». La difesa aveva chiesto al collegio (giudice relatore Paolo Torti) un risarcimento di 500mila euro, la cifra massima che per legge si può richiedere allo Stato in questi casi. L’egiziano era stato arrestato con l’accusa di «aver venduto» a un tossicodipendente la dose di eroina «che ne cagionò la morte il 16 giugno 2009». Era stato un uomo – che quel giorno era in compagnia del tossicodipendente – «chiamato ad effettuare un riconoscimento fotografico» a indicare l’egiziano come il presunto spacciatore. Egiziano che, si legge nella domanda della difesa, «in occasione di un sinistro stradale era stato sottoposto ai rilievi foto-dattiloscopici presso quella caserma». In più, dalle indagini degli investigatori, era emerso che il suo cellulare «aveva agganciato una cella compatibile con il luogo della cessione». La difesa era riuscita a provare che la presenza del suo telefono nel luogo dello spaccio «appariva del tutto compatibile con il mero transito» verso casa. Assolto «per non aver commesso il fatto», l’imputato era stato scarcerato.