Siria, Obama preme per l’attacco. L’alt di Russia e Cina in vista del G20
L’hanno battezzata “flood the zone strategy”: un’azione a macchia d’olio, per convincere Congresso e opinione pubblica americani della necessità di punire militarmente il regime Assad per l’uso di armi chimiche contro la popolazione siriana. Una strategia di lobbying che Barack Obama sta mettendo in atto anche in vista del G20 di San Pietroburgo, dove giovedì e venerdì incontrerà tutti i principali leader mondiali, pronto a lanciare un’offensiva diplomatica tesa a raccogliere più consensi possibile. Intanto da Parigi arrivano nuove prove sull’uso di gas nervino da parte di Damasco: immagini dal satellite che mostrerebbero un attacco «massiccio e coordinato», spiega il governo francese. Un attacco che parte chiaramente dalla zona controllata dalle forze lealiste, e che per la sua portata i ribelli non sarebbero mai stati in grado di sferrare. Ma Bashar al Assad, in un’intervista al quotidiano francese Le Figaro, torna a sfidare la comunità internazionale, parlando di «accuse insensate» e minacciando l’esplosione di un conflitto regionale. Proprio nel giorno in cui il Vaticano lancia l’allarme per il rischio di una nuova guerra mondiale. «Il Medio Oriente è una polveriera» pronta a esplodere, avverte il presidente siriano. La Casa Bianca sa quali sono i pericoli. Così si moltiplicano i briefing a Capitol Hill, gli incontri con senatori e deputati, i contatti con le capitali mondiali. E in questo senso Obama incassa l’appoggio del numero uno della Nato, Anders Fogh Rasmussen, che – pur ribadendo come al momento non ci sia spazio per un’azione dell’Alleanza Atlantica – enfatizza la necessità di una risposta: «Un attacco con armi chimiche non può essere ignorato e restare fermi significherebbe dare la risposta sbagliata a tutti i dittatori del mondo». Così non è per Mosca e Pechino, che a pochi giorni dal summit del G20 in Russia ribadiscono l’altolà ad ogni tipo di intervento militare esterno in Siria. Il ministro degli Esteri cinese, Hong Lei, mette in guardia da “azioni unilaterali”, invitando la Casa Bianca o chiunque altro voglia intervenire a non scavalcare l’Onu. Il capo della diplomazia russa, Sergei Lavrov, ribadisce invece come le prove Usa sull’uso di gas nervino da parte delle forze di Assad “non siano convincenti”. Da Mosca comunque arriva un segnale distensivo, con una delegazione della Duma pronta a sbarcare a Washington per confrontarsi col Congresso Usa. Ma Obama ormai sembra deciso ad andare avanti. Riceve due “falchi” come l’ex candidato repubblicano alla presidenza John McCain e l’altro senatore conservatore Lindsay Graham. Entrambi sono per un intervento ancor più deciso in Siria rispetto a quello mirato e limitato delineato dalla Casa Bianca.