Bagno di sangue in Libano: strage dopo la preghiera in due moschee sunnite di Tripoli
Una pagina nera. Il Libano ha vissuto oggi la giornata forse più sanguinosa dalla fine della guerra civile, nel 1990, con due attentati dinamitardi contro altrettante moschee sunnite nella città settentrionale di Tripoli che hanno provocato almeno 50 morti e oltre 500 feriti. Sono molti i segnali che indicano come il piccolo Paese dei Cedri rischi di sprofondare nuovamente in un conflitto generalizzato, stritolato dalle gravi crisi della regione con protagonisti attori ben più potenti. All’allarme per la strage di Tripoli si aggiunge quello provocato qualche ora prima da un raid aereo israeliano in cui è stata colpita con un razzo la base di un gruppo palestinese nella Valle di Naame, a sud di Beirut. L’attacco, che non ha provocato feriti, è stato compiuto su una postazione del Fronte popolare per la liberazione della Palestina-Comando Generale (Fplp-Cg) di Ahmad Jibril, sostenuto da Damasco, in risposta al lancio di quattro razzi avvenuti ieri dal Libano contro Israele. Il Fplp-Cg ha negato di avere alcuna responsabilità nel lancio dei razzi, rivendicato invece da una organizzazione legata ad Al Qaida, le Brigate Abdallah Azzam. Gli attentati di Tripoli sono stati compiuti con due autobomba parcheggiate vicino ad altrettante moschee al termine della preghiera del venerdì. Ad essere prese di mira sono state le moschee Taqwa e Salam. Il momento delle esplosioni è stato ripreso da telecamere di sicurezza interne alle moschee. Nei video, trasmessi dalla televisione Lbc, si vedono molti fedeli seduti a terra quando all’improvviso una nuvola gigantesca di fumo li avvolge, con pezzi di intonaco e altro materiale che volano in aria. Immediatamente dopo, decine di persone prese dal panico fuggono verso le uscite. Le immagini riprese dalle televisioni all’esterno mostrano corpi carbonizzati, decine di auto in fiamme e facciate di palazzi danneggiate. E poi la rabbia urlata da centinaia di persone radunatesi vicino alla moschea Al Taqwa. Il duplice attentato che ha colpito la comunità schierata in maggioranza contro il presidente siriano Bashar al Assad è avvenuto otto giorni dopo che un’autobomba ha ucciso 27 persone in un quartiere nel sud di Beirut, roccaforte del movimento sciita Hezbollah, le cui milizie combattono in Siria al fianco delle forze governative. Lo stesso Hezbollah ha subito condannato gli attacchi di Tripoli, affermando che essi rispondono a un «disegno criminale per seminare la discordia tra i libanesi, con l’obiettivo ultimo di frammentare la regione e farla precipitare in un bagno di sangue». Da parte sua, il presidente della Repubblica, Michel Suleiman, ha rivolto un appello a tutti i libanesi perché «rimangano uniti e sconfiggano ogni tentativo di creare conflitti». Mentre il generale Ashraf Rifi, fino a pochi mesi fa capo delle forze di sicurezza interne, ha avvertito che questo «è solo l’inizio della tempesta». L’ambasciata italiana, infine, ha invitato tutti i connazionali in Libano alla «massima prudenza», evitando gli spostamenti e i luoghi affollati.