Mediaset, mazzata dalla Consulta: respinto il ricorso. Berlusconi: «Si accaniscono, ma il governo non cade»

19 Giu 2013 19:04 - di Redazione

Come nelle peggiori previsioni, la mazzata è arrivata. Respinto dalla Consulta il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sul mancato riconoscimento del legittimo impedimento dell’ex premier Silvio Berlusconi a comparire nell’udienza del processo Mediaset – del primo marzo 2010 – in quanto impegnato a presiedere un Consiglio dei ministri non programmato. Una “bomba” sul futuro del governo, visto che in caso di conferma della sentenza in Cassazione i giudici riuscirebbero finalmente ad estromettere il leader del Pdl dalla vita politica grazie all’interdizione dai pubblici uffici, minando la stabilità politica, già difficile, del Paese.

Secondo la Consulta “spettava all’autorità giudiziaria stabilire che non costituisce impedimento assoluto alla partecipazione all’udienza penale del 1° marzo 2010 l’impegno dell’imputato Presidente del Consiglio dei ministri di presiedere una riunione del Consiglio da lui stesso convocata per tale giorno, giorno che egli aveva in precedenza indicato come utile per la sua partecipazione all’udienza”.

Il Cavaliere era stato condannato in primo grado e in appello a 4 anni di reclusione (3 coperti da indulto) e a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici, e che nei prossimi mesi approderà in Cassazione. La prima reazione dei ministri del Pdl è di indignazione. «Ci rechiamo immediatamente da Berlusconi. La decisione travolge ogni principio di leale collaborazione e sancisce la subalternità della politica all’ordine giudiziario», afferma una nota dei ministri del Pdl in merito alla decisione della Consulta. Poi arriva la nota di Berlusconi, che conferma il leale sostegno al governo: «Tentano di eliminarmi dalla vita politica. Dalla discesa in campo ad oggi – afferma Silvio Berlusconi in una nota – la mia preoccupazione preminente è sempre stata ed è il bene del mio Paese. Perciò anche l’odierna decisione della Consulta, che va contro il buon senso e tutta la precedente giurisprudenza della Corte stessa, non avrà alcuna influenza sul mio impegno personale, leale e convinto, a sostegno del governo né su quello del Popolo della Libertà. E ciò nonostante continui un accanimento giudiziario nei miei confronti che non ha eguali nella storia di tutti i Paesi democratici. Questo tentativo di eliminarmi dalla vita politica che dura ormai da vent’anni, e che non è mai riuscito attraverso il sistema democratico perché sono sempre stato legittimato dal voto popolare – conclude – non potrà in nessun modo indebolire o fiaccare il mio impegno politico per un’Italia più giusta e più libera».

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