Se cambia cavallo il Pd si consegna ai suoi carnefici. E rischia l’implosione

18 Apr 2013 14:45 - di Gennaro Malgieri

Marini non ce l’ha fatta. Il Pd è imploso. I voti che sono mancati al candidato ufficiale del partito sono andati in buona parte a Rodotà. Il vertice dei democrat non è stato in grado di assicurare il rispetto del patto stabilito con il Pdl che, invece, ha tenuto fede alla proposta formulata ieri da Bersani. Neppure Scelta civica ha ritenuto di convergere unitariamente sull’ex-presidente del Senato: i “montezemoliani” gli hanno votato contro.

A Largo del Nazareno si è nel pieno di uno psicodramma dalle conseguenze, al momento, imprevedibili. Sotto accusa è il segretario insieme con i più stretti collaboratori che hanno avallato una scelta fortemente contestata da circa la metà dei parlamentari e da quasi tutto l’elettorato. Grillo può cantare vittoria un’altra volta di fronte all’imperizia di una nomenklatura che non è capace di governare il partito le cui divisoni sono ormai non più ricomponibili. A meno che non cambino “cavallo” e nei prossimi scrutini non sostengano lo stesso Rodotà o addirittura D’Alema. Questi dalla quarta votazione in poi potrebbe farcela con i soli voti della sinistra. Il che significherebbe la rottura insanabile con il resto del Parlamento ed aprirebbe la strada inevitabilmente alle elezioni anticipate.

Comunque evolverà la situazione, la “carta” Marini si è rivelata suicida per Bersani e non è detto che non lo indurrà alle dimissioni. Possibilità che Renzi avanzerà se, come sembra, non sarà tutto il vertice del Pd a riconoscere l’errore e mutare avviso, dandola però vinta più al Movimento 5 Stelle che al sindaco di Firenze.

Ciò vuol dire che se l’elezione del capo dello Stato dovesse essere il frutto di un accordo palesemente antiberlusconiano, i democrat si consegneranno mani e piedi ai grillini e a Vendola offrendo ad entrambi la golden share sul probabile governo. E’ del resto questa la sola condizione che Grillo potrebbe accettare per sostenere un esecutivo a guida Pd, ma senza Bersani come premier che è di fatto bruciato.

Si pone, di fronte a questa ipotesi un altro interrogativo: tutto il partito appoggerebbe l’operazione Quirinale-Palazzo Chigi in combinato disposto con M5S? Crediamo di no. Anzi ne siamo sicuri. I “moderati”, i margheritini, gli ex-democristiani sanno che verrebbero schiacciati e si condannerebbero all’irrilevanza. In fondo, eliminando Marini hanno fatto fuori uno dei loro, e non certo di secondo piano.

Ecco perché, al momento, comunque la si guardi, il solo lato chiaro di una storia peraltro torbida è il collasso del Pd. In due mosse si è suicidato: dopo le elezioni, non riconoscendo la propria sconfitta e ostinandosi a rifiutare convergenze per come i risultati suggerivano; oggi rompendo con tutta la sinistra.

Il suggello alla catastrofe annunciata l’hanno messo i militanti del Pd che davanti a Montecitorio hanno sconfessato platealmente il loro partito. Non basterà un Renzi per sanare la ferita. E con un Rodotà al Quirinale le elezioni potrebbero essere inevitabili, sempre che non arrivi il soccorso pentastellato. In tal caso il Pd sarebbe un partito a sovranità limitata. Peggio dell’estinzione.

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