Da Napolitano un tentativo estremo ma senza via d’uscita
C’era da aspettarselo. Dopo gli osanna nei confronti del Capo dello Stato per la scelta di affidare a un gruppo di saggi l’elaborazione di alcuni punti di programma su cui cercare l’intesa fra le forze politiche per arrivare a metter in piedi uno straccio di governo, piovono le critiche. Un po’ per scarsa fiducia verso una formula che, adottata in altre circostanze, non ha mai dato buoni frutti, un po’ per le posizioni fin troppo distanti che attraversano le formazioni parlamentari in campo, la scelta di Napolitano appare molto depotenziata. E votata al fallimento, se non interverranno al momento improbabili novità.
La verità è che questa crisi ha molte radici. La prima, più evidente, sta nella attuale legge elettorale. Non perché ci si lasci abbindolare dalla convinzione che una sua modifica possa avere effetti taumaturgici sulla vacatio della politica registrata negli ultimi anni. Sta di fatto, però, che il Porcellum ha generato ingovernabilità e scomposto il quadro politico in tre parti di più o meno analoga consistenza, ma di scarsa o nulla coesione. Per uscire da questa sorta di gabbia incapacitante sarebbe stato necessario un sussulto di responsabilità da parte del Pd, una prova di coraggio nel mettere da parte pregiudizi e ideologismi, dando la stura ad una intesa su poche ed essenziali riforme, prima di tornare a dar voce al corpo elettorale.
La seconda radice del malanno di cui soffriamo, risiede nella perdita di senso e di valore della politica. La crisi dei partiti, resa più manifesta dalla irruzione sulla scena del Movimento 5 Stelle, ha accentuato , nelle oligarchie dirigenti, il timore che il solco con gli elettori si possa ulteriormente allargare, stante la difficoltà di individuare un livello di comunicazione adeguato. Le nuove tecniche di comunicazione, dal web alle altre forme di dominio della Rete, hanno soppiantato ogni forma di costruzione del consenso che richieda tempi e modalità più elaborate. In questa sorta di “democrazia istantanea” non c’è più spazio per i vecchi partiti e i loro sistemi di mediazione. E poco o nulla sembra interessare ai più il fatto che viviamo in una società complessa e come tale non suscettibile di risposte semplici ai molteplici problemi che essa pone. Ridurre tutto ad un si o un no , in una incessante formulazione referendaria, porta inevitabilmente a minare lo stesso concetto di rappresentanza, annulla il mandato su cui si fonda il parlamentarismo, mette in discussione la stessa forma di democrazia per come fin qui l’abbiamo intesa. Fatto sta che la paura di essere travolti dal grillismo va di pari passo con l’assenza di una cultura politica che sappia meditare sugli errori del passato e individuare nuovi paradigmi sui quali ancorare convincenti progetti di cambiamento per il Paese.
Ma c’è una terza questione che qui va rilevata. Si tratta della mancanza, dopo decenni di infiniti dibattiti e di commissioni inconcludenti, di una concreta e condivisa idea di riforma costituzionale. Certo, nel compito affidato ai dieci saggi da Napolitano, c’ è anche questo tema. Il fatto che se ne parli è già un elemento positivo. È lecito, però, dubitare che si riesca ad andare al di là dei titoli. La Riforma delle riforme è ben difficile che si faccia se non attraverso una fase costituente affidata magari ad una Assemblea ad hoc. Il che richiede tempo e , soprattutto, una intesa tra i partiti che non mi sembra allo stato facile. Si pensi, tanto per fare un esempio, alla non semplice scelta tra sistema presidenziale o semipresidenziale ed al necessario bilanciamento con i poteri affidati al Parlamento.
Va detto, in conclusione, che la sortita di Napolitano, nella sua irritualità, prefigura, in un certo senso, un regime presidenziale fuori dagli schemi fin qui dettati dalla consuetudine che finora ha accompagnato la nascita dei governi repubblicani. Essa allunga la scia della esperienza del governo “tecnico” imposta dal Colle nel dicembre del 2011. Ma fino a quando potremo sopportare una sospensione così palese di democrazia? E che ne sarà del Paese se anche i saggi di Napolitano dovessero alzare bandiera bianca? Non sarebbe stato meglio allora chiedere subito al Parlamento una nuova legge elettorale per ridare ai cittadini la parola?