Il web riscopre John Ford, il regista che raccontò il Mito
A sorpresa, le pagine Facebook più vicine al centrodestra rispolverano dagli archivi una ricorrenza legata a un vecchio mito di sempre: John Ford, il leggendario regista americano, cantore dell’epopea western, popolando l’immaginario collettivo di personaggi indimenticabili. Un universo cinematografico che ha amalgamato valori morali e precetti spettacolari, il suo, a cui negli anni molti militanti del Msi e del Fronte della Gioventù, avrebbero fatto riferimento nella loro formazione culturale. L’occasione per ricordarlo è data dall’anniversario della nascita del cineasta, nato appunto il 1 febbraio 1894: ma va da sé che, non essendo un centenario o una celebrazione a cifre tonde, la ricorrenza è solo una nuova opportunità per riparlarne. Lui, vincitore di quattro Oscar, che in eredità ha lasciato capolavori del calibro di Ombre Rosse, Sentieri Selvaggi, Furore – solo per fare qualche esempio – ha raccontato gli eroi del West come personaggi omerici in cui il deserto, le foreste, le valli, le montagne, il caldo, la neve, sono le stazioni metaforiche di un affascinate viaggio simbolico intorno al mito. Mito che nell’epica del cinema di Ford trasforma la Monument Valley, come il Duca del west per antonomasia, John Wayne, in allegorie che sublimano miti di fondazione e storia delle sfide e del confronto tra sceriffi e banditi, cowboy e pellerossa, fra giustizia e violenza (entrambe bianche). Un’epica, e una storia, raccontate tra nostalgie crepuscolari e metafore moderniste, ai giovani che non hanno vissuto niente di tutto ciò, e cresciuti all’ombra di una cultura materialista depauperata di maestri di vita e punti di riferimento etici. Affabulando e influenzando le platee di tutto il mondo, per generazioni e generazioni di spettatori, Ford è diventato il “grande vecchio del west” che ha oltrepassato le frontiere e annullato i confini politico-culturali, conquistando il cuore del pubblico, il plauso della critica (compresa quella colta firmata Truffaut e Godard) e l’idolatria di colleghi del calibro di Akira Kurosawa, Martin Scorsese, Sam Peckinpah, Peter Boghdanovich, Sergio Leone, Wim Wenders, e Clint Eastwood, l’ultimo dei suoi epigoni illustri.