Stefano Cecchetti, ucciso perché era davanti a un bar
Si può morire ammazzati perché si frequenta un bar? Oggi sembra impossibile, ma negli anni Settanta capitò anche questo. Era la sera del 10 gennaio 1979, due ore prima a Centocelle Alberto Giaquinto era stato ucciso da un poliziotto mentre fuggiva dopo una manifestazione per ricordare la strage di Acca Larenzia avvenuta un anno prima, e Stefano Cecchetti, ragazzo 17enne che abitava nella zona di Talenti, si trovava con alcuni amici davanti al bar Urbano in largo Rovani. Non era particolarmente politicizzato, Stefano, anche se frequentava l’ambiente umano del Fronte della Gioventù, molto forte nella zona, faceva il terzo liceo scientifico al Nomentano, ed era un ragazzo come tanti, che la sera si trovava con gli amici a chiacchierare. Saranno state le otto di sera, improvvisamente una Mini Minor verde metallizzato col tetto bianco si avvicina al bar a fari spenti. Dai finestrini escono le pistole, una calibro 7,65 e una 9, si saprà poi, e partono una serie di colpi verso i ragazzi. Hanno sparato nel mucchio, per uccidere. Nell’autovettura, che aveva una targa stranissima,da sembrare straniera, c’erano tre persone che indossavano passamontagna. Secondo le testimonianze il fuoco è durato due minuti, poi la Mini è ripartita per fermarsi poco dopo per sparare a un altro gruppo di ragazzi. Alla fine ci furono tre feriti: Stefano Cecchetti e i suoi due amici, Alessandro Donatone, ferito gravemente, e Maurizio Battaglia, ferito in modo più lieve. Stefano, colpito al torace e al bacino, ebbe lesioni interne e la perforazione dell’aorta. Nonostante un intervento di alcune ore, non sopravvisse. Era nato il 25 maggio del 1962 e abitava in via Davanzati con i genitori e la sorella più grande. Un ragazzo d’oro, vivace, scherzoso, appassionato di calcio e di moto e di musica, come tutti i ragazzi della sua età. Amava gli stivali che andavano di moda a quel tempo, i camperos, ma anche le Clarks, che vanno di moda ancora oggi. Ne aveva un paio beige. All’epoca si disse che fu ucciso per come era vestito, ma non è così: fu ucciso perché si trovava in quel momento in un luogo considerato dagli avversari politici come “covo di fascisti”. Radio Onda Rossa fece un dibattito su questo avvenimento, e un ascoltatore disse testualmente che non era importante se Cecchetti fosse o no fascista, perché lui là non ci doveva stare. Questa era la logica folle di chi poi rivendicò all’Ansa l’omicidio: i compagni organizzati per il comunismo. Gli autori di questo assurdo assassinio non sono mai stati identificati come quelli di tante altre vittime dell’odio politico di quegli anni. I funerali di Stefano si tennero a Tuscania, da dove proveniva la famiglia, la sorella gli mise le sue adorate Clarks color sabbia. Le cose e i vestiti di Stefano furono distribuiti tra gli amici.