Firmato il decreto “salva Ilva”

4 Dic 2012 0:02 - di

Sospiro di sollievo per tutti i dipendenti dell’Ilva: il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha firmato in serata il decreto del governo sull’Ilva, recante «disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale».
«È opportuno che noi non ci pronunciamo. La questione è complicata». Così il procuratore di Taranto, Franco Sebastio, ha risposto in mattinata ai giornalisti che gli chiedevano se ci fossero decisioni sulle strade che la magistratura intende intraprendere sul decreto legge sull’Ilva. Il decreto cosiddetto “salva Ilva” è stato approvato nei giorni scorsi dal consiglio dei ministri e in queste ore è alla firma del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. La procura ionica sta valutando due strade: chiedere al giudice che sia proposta una questione di legittimità costituzionale del decreto legge o sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in relazione allo stesso decreto. L’occasione potrebbe essere l’udienza del 6 dicembre prossimo dinanzi al tribunale del riesame sulla richiesta dell’Ilva di dissequestrare il prodotto finito e semilavorato giacente sulle banchine del porto, al quale sono stati posti i sigilli il 26 novembre scorso. Al procuratore Sebastio è stato anche chiesto come si stia affrontando la questione: «Siamo cinque colleghi – ha risposto – che lavoriamo».
La definizione “salva Ilva” non piace neanche al ministro della Salute Renato Balduzzi: «Dire che un decreto costruito così è fatto per salvare l’Ilva, mi sembra davvero vivere in un altro mondo», è una «lettura fuori dalla realtà», ha infatti affermato a RadioUno. Se qualcosa «salva questo decreto – ha sottolineato Balduzzi – è al tempo stesso l’ambiente, la salute e il lavoro». All’Ilva, ha precisato il ministro, «il decreto impone: un sistema di prescrizioni ancora più rafforzato; una previsione di sanzioni pesantissime nell’ipotesi di mancata osservanza delle prescrizioni; la figura di un garante come funzione pubblica neutrale chiamata ad andare a verificare e proporre al Parlamento e al governo le misure necessarie e, sullo sfondo, rappresenta anche la possibilità di ulteriori interventi dei pubblici poteri che vadano a toccare – ha concluso – le regole sulla conduzione dell’amministrazione straordinaria e sia un intervento sulla stessa proprietà». Dello stesso tenore le recenti dichiarazioni a un quotidiano da parte del ministro dello Sviluppo Corrado Passera, che difende il decreto del governo: «Mi auguro che i magistrati capiscano che i loro obiettivi e i nostri non confliggono, ma coincidono. C’è una volontà comune che è quella di tutelare la salute e di salvare il lavoro di tutti. Noi non vogliamo vanificare le sentenze dei tribunali né ledere la maestà del potere giudiziario. Vogliamo solo trovare una soluzione condivisa, nel rispetto del diritto». Passera ribadisce che il decreto varato dal governo rispetta «è costituzionale». «Noi – precisa – abbiamo un profondo rispetto della magistratura e siamo convinti che i giudici finora abbiano fatto al meglio il loro dovere». Ma «non siamo d’accordo» sul fatto, come sostengono alcuni magistrati, che «non sia possibile fare la bonifica e il risanamento aziendale mentre gli impianti sono in funzione. Se l’azienda spegne gli impianti per fare la bonifica, muore e non può più rinascere, a esclusivo vantaggio dei concorrenti che gli portano via il mercato. E questo non lo possiamo permettere, perché oltre alla tragedia ambientale esploderebbe un enorme dramma sociale. Chiediamoci cosa sarebbe successo all’Italia senza il nostro intervento». «Abbiamo fatto la cosa giusta – osserva il ministro – e l’abbiamo fatta in tempi di record. Con un presupposto fondamentale: non ci deve mai essere una contrapposizione fra la salute e il lavoro». Passera aggiunge: «Politicamente e psicologicamente ci ha aiutato il fatto che il giorno prima del Consiglio dei ministri abbiamo avuto l’incoraggiamento da tutte le parti sociali. Ed è fondamentale che non venga meno anche nei prossimi mesi».
Ilva intanto replica a notizie diffuse da organi di informazioni sulla sicurezza nello stabilimento, sottolineando «che si tutelerà in tutte le sedi, anche legali». Ilva ricorda in una nota che «ha ottenuto proprio pochi giorni fa, il 14 novembre, al tavolo tecnico presso la Prefettura di Taranto, unanime riconoscimento da parte di tutte le autorità per il lavoro di miglioramento della sicurezza nello stabilimento». «Un impegno – aggiunge – che ha permesso dal 2005 a oggi di ridurre gli infortuni del 60% grazie a importanti investimenti e a una formazione continua e costante». All’Ilva intanto parte la cassa integrazione: «L’Ilva sta per consegnare le lettere sulla cassa integrazione ai dipendenti dell’area a freddo. Potrebbe farlo domani o dopodomani. Oggi scadeva la procedura annunciata, ma non sappiamo quanti lavoratori saranno interessati». Lo dice il segretario generale della Fim Cisl, Mimmo Panarelli. «L’azienda – aggiunge – ci aveva convocati per mercoledì, ma abbiamo chiesto di anticipare l’incontro a domani e attendiamo una risposta. Dovremo discutere anche della cassa integrazione disposta per 1031 lavoratori dell’area a caldo a causa dei danni provocati dalla tromba d’aria. Scade oggi, ma alcuni impianti non sono stati ancora ripristinati e potrebbe essere prolungata». Intanto il gip del Tribunale di Taranto Patrizia Todisco ha respinto la richiesta di scarcerazione presentata da Girolamo Archinà, ex responsabile delle relazioni istituzionali dell’Ilva. Questi è stato arrestato il 26 novembre scorso per corruzione nell’ambito dell’inchiesta “Ambiente svenduto”. Archinà era stato licenziato tre mesi fa dall’azienda dopo che, dall’inchiesta per disastro ambientale, era emerso un episodio di presunta corruzione che coinvolgeva l’ex consulente della procura Lorenzo Liberti, al quale Archinà avrebbe consegnato una busta contenente la somma di 10.000 euro in cambio di una perizia “addomesticata” sull’inquinamento dell’Ilva. Lo stesso Liberti e l’ex presidente dell’Ilva Emilio Riva sono ai domiciliari. La detenzione in carcere è stata disposta dallo stesso gip per il vicepresidente di Riva Group Fabio Riva, tuttora irreperibile, e l’ex direttore dell’Ilva di Taranto Luigi Capogrosso.

 

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