Nessuno tocchi la storia nostra e della Cisnal
Giù le mani dalla storia della Cisnal. Una storia lunga, che ha visto tante stagioni di lotta, la difficile vita nelle fabbriche dei suoi iscritti destinati a finire nel mirino perché poco omologabili ai percorsi tracciati dalla vecchia Triplice. Una storia fatta di uomini di grande valore, da Gianni Roberti a Giuseppe Landi. E che ha avuto il suo sviluppo con la nascita dell’Ugl. Eppure, ancora oggi, capita di leggere articoli che ne parlano con sufficienza, in modo quasi offensivo. Raccontando l’intervento di Renata Polverini nella drammatica seduta del Consiglio regionale del Lazio di lunedì, Filippo Ceccarelli su Repubblica, ha parlato di «una commediaccia strappacore». Ceccarelli, evidentemente, conosce poco la persona su cui intendeva imbastire qualche “ricamo” per rendere accattivante il suo pezzo e quasi per nulla il mondo da cui la Polverini proviene. Si dà il caso che etichetta l’Ugl come «trascurabile sindacatino post-missino». Quel sindacato «trascurabile», come detto, ha dietro di sé sessant’anni di storia, è riuscito ad affermarsi nonostante l’ostracismo feroce delle altre confederazioni sindacali e raccoglie oggi all’incirca due milioni di iscritti. Con la Polverini segretario generale l’Ugl ha sicuramente effettuato il salto di qualità in fatto di comunicazione, ma il radicamento tra i lavoratori è di vecchia data. La Cisnal nacque nel 1952 e faticosamente si affermò nella fabbriche e negli uffici. Tanto che, con l’arrivo dello Statuto dei lavoratori (la legge 300 del 1970), rivendicò quasi ovunque quella maggiore rappresentatività che Cgil, Cisl e Uil cercavano in tutti i modi di negarle. Dapprima l’accusa di sindacato fascista, poi quella di sindacato giallo e, infine, l’argomentazione della partecipazione ininfluente alle trattative. Se a livello politico l’arco costituzionale serviva a tenere fuori dalla stanza dei bottoni il Msi, a livello sindacale l’alleanza di ferro tra Cgil, Cisl e Uil impediva alla Cisnal una trattativa paritaria a nome dei lavoratori rappresentati. Appena Confindustria si azzardava ad allargare il tavolo, i sindacalisti della cosiddetta “triplice” si alzavano dalla sedia e uscivano dalla stanza. Così la delegazione degli industriali doveva spesso fare la spola tra due sale attigue. Un «sindacatino» quello? Le Brigate Rosse non la pensavano così. Il loro primo obiettivo nelle fabbriche fu infatti proprio un uomo della Cisnal, quel Bruno Labate di Torino, segretario provinciale del sindacato, che è stato sequestrato, interrogato per cinque ore e poi rapato a zero e abbandonato per la strada con un cartello al collo. Episodi del genere parlano da sé e chi si occupa di sindacato dovrebbe quantomeno conoscerli. In merito poi al passaparola secondo cui la Polverini sarebbe un personaggio costruito nei talk show, la risposta è semplice. Affermazioni del genere possono essere fatte solo da chi non conosce le tappe della sua vita, gli inizi difficili, la capacità di essersi costruita da sola. In tv, nei talk show, gli italiani hanno imparato ad apprezzare la sua schiettezza e la sua simpatia. Ma la storia insegna che, per quanto lo si alleni, non si riuscirà mai a far correre un brocco. In questo caso, invece, la palestra ha fatto la sua parte, ma il materiale umano c’era. Renata Polverini è stata la prima donna a ricoprire l’incarico di segretario generale di una grande confederazione. E i galloni se li è guadagnati sul campo. In un sindacato che tutto è stato tranne che «trascurabile». Con buona pace per chi ragiona secondo schemi vecchi e superati, sognando nuovi archi costituzionali.