La Clinton: «Quel film è disgustoso»
L’autunno è venuto prima quest’anno: non solo in Italia, dove la pressione fiscale è al massimo storico, ciò che ha ovviamente inasprito la crisi economica, e il governo è alla deriva. Ma soprattutto l’autunno, quasi inverno, è calato sui Paesi arabi che si erano illusi di vivere una primavera politica e sociale, e prima fra tutte le Libia, che di quella primavera fu la capostipite. Abbattuto il “tiranno”, con l’aiuto fondamentale proprio degli americani ma anche dei francesi, il beneficato si rivolta contro il benefattore, assassinandone addirittura l’ambasciatore. Ambasciatore, Chris Stevens, che in passato aveva denunciato la presenza in Libia di numerose milizie islamiche estremiste. Nessuno crede a una protesta spontanea del popolo contro un oscuro docu-film anti-islamico, anche se per gli islamici si tratta di un nervo scoperto sul quale non sono disposti a transigere, quando è piuttosto evidente che si è trattato di un attacco armato pianificato da parecchio tempo, contro quella che sembra essere tornata a essere il nemico principale del mondo islamico: l’America. Autunno italiano, inverno arabo.
Intanto le autorità libiche hanno annunciato l’arresto a tempo di record di alcuni sospetti nel quadro dell’inchiesta sull’attacco al consolato di Bengasi, costato la vita all’ambasciatore Usa Chris Stevens. Lo ha detto all’Afp il viceministro dell’Interno, Wanis al Charef, senza fornire ulteriori dettagli «per non ostacolare lo svolgimento dell’inchiesta» condotta dai ministeri di Interno e Giustizia libici. Fumo negli occhi su istruzioni dall’estero? Staremo a vedere.
Il “day after” la strage libica viene inquadrato dallo stesso presidente americano Barack Obama: «È stata una giornata dura», ha detto, rivolgendosi ai partecipanti di un incontro elettorale a Las Vegas, e riferendosi alla tragedia che ha colpito gli Stati Uniti dopo l’attacco alla sede diplomatica di Bengasi, in cui sono morti quattro cittadini americani. «A volte le cose sono molto dure – ha detto il presidente – ma se noi siamo risoluti, non molliamo, non diventiamo cinici, ma continuiamo a essere realistici su come siano duri i cambiamenti, sempre mantenendo però un senso degli ideali e un senso di proposta, alla fine nel tempo qualcosa di buono accadrà». Parole di circostanza, che non riescono però a nascondere il fatto che la guerra e il terrorismo piombano nella campagna elettorale Usa. Gli Stati Uniti «restano vigili»: «dobbiamo assicurarci di continuare a esercitare pressione su Al Qaida e gli affiliati in altre parti del mondo, come il Nord Africa e il Medio Oriente. Questa è una cosa che sono determinato a fare», ha detto ancora Obama in’intervista. E dopo il bastone, la carota: «Gli Stati Uniti condannano il contenuto ed il messaggio» del video anti-islam. A dichiararlo a New York al termine di un incontro con il ministro degli Esteri del Marocco è stato il segretario di stato americano Hillary Clinton, che ha definito il video «disgustoso e riprovevole», nell’intento di risparmiare altri guai alle rappresentanze americane nei Paesi arabi. «Non ci sono giustificazioni, nessuna giustificazione», ha però sottolineato con forza la Clinton, «per rispondere con la violenza a questo video» che è stato «fatto con il cinico proposito di provocare rabbia».
E a poche ore dall’attentato di Bengasi c’è una nuova inaspettata sorpresa: la Libia ha il suo nuovo premier, si chiama Mustafa Abu Shagur, tecnocrate vicino agli islamici, che ha battuto per soli due voti il leader dell’alleanza dei liberali, Mahmoud Jibril, dato per favorito. A quasi un anno dalla caduta di Muammar Gheddafi, Abu Shagur che succede al capo del governo di transizione, al-Kib Abdelrahim, avrà il compito di guidare la Libia verso la stabilizzazione. Con una legittimità e un margine di manovra ben più ampio rispetto all’esecutivo che lo ha preceduto. E una priorità, quella di ripristinare la sicurezza nel Paese. Shagur, 61 anni, già vice primo ministro del governo di transizione, ha vinto grazie al sostegno dei voti dei membri di Giustizia e Costruzione dei Fratelli Musulmani, dopo la sconfitta del loro candidato al primo turno. Entrato nel governo libico come vice premier a novembre 2011, il neo primo ministro libico che ha studiato negli Usa dove ha conseguito un dottorato in ingegneria elettronica, fu esiliato nel 1980 dopo essersi opposto al regime del Colonnello. Entrato poi nel Fronte nazionale dell’opposizione libica all’estero, in America ha insegnato presso l’Università di Rochester di New York e alla University of Alabama, partecipando anche al programma spaziale della Nasa e lavorando con il Pentagono.
Intanto Washington sta muovendo due navi da guerra verso le coste libiche. Lo riporta la stampa americana citando alcune fonti dell’amministrazione. Le due navi da guerra non hanno una missione specifica ma devono essere pronte a qualsiasi missione ordinata dal presidente. Le unità, armate con missili Tomahawk, sono la USS Laboon e la USS McFaul. L’episodio di Bengasi conferma secondo diversi osservatori la perdurante incapacità del potere libico del dopo-Gheddafi di controllare un Paese nel quale le milizie armate paiono farla da padrone.
Intanto le autorità libiche hanno annunciato ieri l’istituzione di una «commissione indipendente» d’inchiesta sul sanguinoso attentato dietro il quale si sospetta un coinvolgimento di Al Qaida. L’attacco, avvenuto in concomitanza con l’anniversario dell’11 settembre e condannato con sdegno in Occidente, sembra – agli sprovveduti – collegato con l’ondata di furia suscitata nel mondo musulmano dalla diffusione negli Usa del docu-film “L’innocenza dei musulmani”.
Il giorno dopo l’assassinio dell’ambasciatore americano Chris Stevens, è la madre del diplomatico a parlare in esclusiva al quotidiano Daily News. Mary Commanday ha spiegato che il figlio «era esattamente dove voleva essere». La violoncellista sinfonica in pensione ha spiegato come per il figlio quel lavoro «era la sua passione». Mercoledì ha ricevuto una telefonata dal presidente Usa, Barack Obama. Ieri dalla California è partita per Washington per accogliere l’arrivo della salma del figlio.