Vivere senza Napolitano
Facciamocene una ragione, è ormai ufficiale. Re Giorgio lo ha dichiarato e confermato: malgrado i reiterati inviti bipartisan (l’ultimo di Marcello Pera) scenderà dal Colle nel 2013 per non tornarci più, almeno da Presidente della Repubblica. E già alcuni si chiedono come potremo mai colmare il vuoto. La santificazione in vita è privilegio di pochi e Napolitano ha goduto negli ultimi tre anni di un processo più celere di quello riservato a Giovanni Paolo II. Ultimo penoso atto di unzione (o salivazione) è riscontrabile nei toni dell’intervistona a lui riservata su “Repubblica” – il giornale che assolve da decenni alla funzione di lavagna dei buoni e dei cattivi – redatta e quasi recitata da un altro “grande vecchio”: Eugenio Scalfari. Il Mazzini del giornalismo italiano ci ha raccontato che il Sovrano laico è così magnanimo che quando lui ha chiesto se gli fosse consentito togliersi la giacca, Napolitano lo ha addirittura aiutato a toglierla con le sue proprie mani. Non entrando in particolari troppo intimi non ci è stato dato sapere se Scalfari, su quelle generose mani, abbia già intravisto i segni delle stimmati, prova provata di santità. Ma ci sono altre prove. Prima fra tutte l’incompatibilità assoluta e profonda con Berlusconi, così esasperata da consentire e giustificare l’abbandono del suo ruolo super partes fin tanto che è durato l’oscuro regno del Cavaliere di Arcore. Poi il gesto coraggioso e santo: via l’oscuro signore, abbraccio devoto all’imperatore germanico e consacrazione del nuovo Papa Mario, in grado di sanare tutte le nostre piaghe con l’imposizione delle mani. E prima ancora la chiamata alla Crociata contro l’orrido tiranno maomettano di Libia. Infine, in una sorta di apoteosi, l’identificazione personale come unico sacro simbolo della Patria. Chi potrà fare di più?