Solo dieci giorni per trovare la pax

10 Lug 2012 20:00 - di

Tutti d’accordo, tutti divisi. La moral suasion di Napolitano sulla riforma elettorale accelera i tempi ma le posizioni dei partiti restano molto lontane e gli sherpa  riprendono le trattative pressati dal calendario di Palazzo Madama dove resta incardinato l’iter della legge. La conferenza dei capigruppo al Senato ha stabilito, su proposta di Schifani, che la commissione Affari costituzionali avrà 10 giorni di tempo per mettere a punto un testo da presentare poi all’Aula dal relatore Lucio Malan. Durante la capigruppo Fini ha letto la lettera del presidente della Repubblica, ha riferito il contenuto della telefonata con Schifani ricordando tutte le tappe delle iniziative prese sulla legge elettorale a partire dai primi giorni della legislatura. «Spero che il Senato sappia difendere le proprie prerogative. La legge elettorale è incardinata in commissione Affari costituzionali da anni e abbiamo già fatto 18 audizioni e vi sono depositati 35 disegni di legge», ha detto il presidente Carlo Vizzini, «non è il caso che si faccia ora una guerra tra Camera e Senato. Sarebbe bene che i partiti, oltre a dare ragione a Napolitano sul metodo, agissero anche nel merito». Ma gli auspici non sono dei migliori. Già nella capigruppo si è arrivati allo scontro tra Pd-Udc-Idv da una parte e Pdl dall’altra sulla necessità di ancorare – come vuole il partito di Alfano – la modifica del Porcellum al testo di riforme costituzionali ora all’esame dell’Aula. Nel pomeriggio Maurizio Gasparri si dice soddisfatto per la decisione di esaminare la prossima settimana il testo delle riforme costituzionali che riguardano anche il Senato federale e il semipresidenzialismo. Quanto al merito della riforma elettorale i Democratici, che puntano al doppio turno di collegio, confermano il no alle preferenze agitando il vecchio spettro della corruzione e del clientelismo. «Fanno lievitare i costi della campagna elettorale e io credo che non sia neanche giusto, perché tutti questi soldi da qualche parte devono arrivare e dunque si favoriscono comportamenti non lineari», dice Anna Finocchiaro. Bersani taglia corto: «Siamo aperti al dialogo, ma niente preferenze». Un dialogo a senso unico. Il Pdl, che per primo ha spinto l’acceleratore sulle riforme, è pronto al confronto ma senza diktat. «Siamo convinti – riassume Gasparri – che la vera possibilità di scelta sia quella del voto di preferenza, che molti criticano ma che rappresenta il miglior modo per consentire ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento», mentre con il sistema dei collegi i partiti calano dall’alto i candidati. «Ciononostante siamo determinati ad aprire rapidamente il confronto purché si arrivi a decisioni tempestive e buone. Tutto questo nel quadro complessivo di una riforma della Costituzione». Per il pidiellino Pietro Laffranco la nuova legge «deve coniugare rappresentatività politica, tramite un sistema tendenzialmente proporzionale, governabilità, tramite un premio di maggioranza, e forte collegamento tra eletto ed elettore tramite il sistema delle preferenze imperniato su un meccanismo plurimo con rappresentanza di genere». Favorevole alle preferenze anche Pier Ferdinando Casini che fa innervosire il Pd, «improvvisamente – fa notare ai più distratti – le preferenze evocano clientelismi e corruttele. Non me ne ero accorto nei Comuni e nelle Regioni dove i cittadini eleggono, con questo sistema, i loro consiglieri». In campo anche Fabio Rampelli, depositario di una proposta di legge insieme a Giorgia Meloni, «ha ragione Casini, se non vanno bene alle politiche devono essere eliminate nei Comuni e nelle Regioni. Basta imbrogli. Gli interessi della criminalità sono maggiormente collocati negli appalti pubblici, nei piani regolatori e nel cemento, negli appalti della sanità, nel business dei rifiuti: tutte competenze comunali e regionali». Il timore – conclude il deputato del Pdl – è che dietro l’ostilità di una parte del Pd alle preferenze ci sia «il solito trucco per far nominare il Parlamento dalle oligarchie dei partiti, sottraendo ai cittadini un diritto e un potere».

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