La solita rissa ma declinata in 140 caratteri

16 Mar 2012 20:22 - di

Ormai è come un virus, ma al contrario di un virus influenzale è cercato, non temuto: i politici italiani non sanno più rinunciare ai cinguettii su Twitter, il social network delle celebrità. Da quando lo hanno scoperto, nell’ultimo scorcio del 2011, non possono più farne a meno e hanno rinunciato alle classiche dichiarazioni trasmesse tramite gli uffici stampa per abbandonarsi alla soffice leggerezza dei tweet. I primi sono stati gli americani, more solito, ma da novembre 2001, con qualche ritardo e la consueta goffaggine dei principianti (Twitter nasce negli Usa nel 2006), il fenomeno è esploso anche nel Bel Paese, al punto che ormai la giornata politica è scandita dai tweet di Bersani, Alfano e Casini. È sul web che si forma la notizia principale, scandita in 140 caratteri (tanto dev’essere lungo un cinguettìo) e rilanciata dai followers (i seguaci). Da ultimo anche il ministro degli Esteri Giulio Terzi, nonostante il sovraccarico di lavoro che deve avere in questi giorni così incandescenti per la Farnesina, si è lasciato prendere dalla mania del tweet, e a proposito dei marò ha detto: «Le polemiche sulle responsabilità le lascio ad altri. Io lavoro per riportarli a casa». Basta un tweet, in certi giorni “caldi”, e il termometro politico svetta a temperature altissime, è accaduto con le battute contro la “politica schifosa” del ministro Riccardi, subito rimbrottato tramite Twitter da Maurizio Gasparri, che ne ha chiesto le dimissioni. 140 caratteri e lo spread tra partiti e governo si allarga o si abbassa. A Twitter i politici affidano anche i loro sfoghi, suscitanto con questo sistema altre polemiche: lo ha fatto Marta Vincenzi, il sindaco del Pd battuta alle primarie di Genova dal candidato di Sel Marco Doria: «Comunque a Ipazia è andata peggio. Oggi le donne riescono a non farsi uccidere quando perdono». Paragone che a molti è sembrato eccessivo: Ipazia è infatti la filosofa trucidata dai fanatici cristiani nel 415 d.C. Che c’entra con Vincenzi? Il collega di partito Andrea Sarubbi, uno dei primi a sbarcare su Twitter, non ha mancato di farlo notare: «O qualcuno si è impossessato dell’account di Marta Vincenzi o qualcuno si è impossessato di lei. Spero la prima».
Infine ha fatto scalpore lo scambio di battute Casini-Di Pietro, concluso dal leader dell’Udc con un adolescenziale: «Antonio, tvb». Di Pietro ha subito respinto il cinguettio con un tradizionale: «Su questo aspetto sono ancora all’antica. La penso come mio padre, contadino». La trattativa sul lavoro? Il ministro Fornero ne rilancia le tappe su Twitter. Le candidature alle prossime amministrative? I leader le comunicano via Twitter. La morte di Lucio Dalla? Diventa assordante il cinguettio dei saluti e degli elogi che i politici affidano a Twitter.
Ma dov’è lo scandalo? È evidente che se la politica si èiega alla legge dei 140 caratteri la semplificazione è d’obbligo. E con la semplificazione la banalità è in agguato. Da ultimo il contagio si è esteso persino al “sobrio” Mario Monti, richiesto da Panorama di commentare con una serie di tweet i suoi primi cento giorni di governo. E non sono mancate le bufale, con i finti tweet di un finto Gianni Alemanno sulla neve che stava per aggredire la capitale.
Il fenomeno dunque si sta allargando a macchia d’olio e rischia di mettere in crisi gli staff di esperti della comunicazione e anche le agenzie di stampa, organismi sicuramente più lenti di un tweet nel far circolare opinioni, annunci, prese di posizione, bocciature, critiche, elogi. Secondo “gossip di palazzo”, blog di notizie su Yahoo!, la top ten dei politici più seguiti è questa: Nichi Vendola, Luigi De Magistris, Pierluigi Bersani, Matteo Renzi, Antonio Di Pietro, Debora Serracchiani, Renato Brunetta, Giuliano Pisapia, Dario Franceschini, Pierferdinando Casini e Mara Carfagna. Quando poi i politici vengono presi dalla sindrome del botta e risposta, la comunicazione scade facilmente nella tendenza alla presa in giro. Al punto che qualcuno ha già scritto di provare nostalgia per le vecchie tribune politiche dove si esibivano politici paludati, che non cinguettavano, certo, «ma sentivi che avevano letto dei libri».
Ma i politici sono solo improvvisati apprendisti rispetto a un mezzo che viene attenzionato soprattutto per conoscere gli umori dello star system. Non a caso la regina dei social media è Lady Gaga, di recente diventata la prima persona a raggiungere i 20 milioni di seguaci su Twitter. La pop star ha tagliato il nuovo traguardo lo scorso 5 marzo, battendo altre popstar come Justin Bieber, che ha 18,1 milioni di followers, e Katy Perry, il cui numero di followers raggiunge i 15,6 milioni. Il più seguito tra le non popstar su Twitter è il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che ha 12,8 milioni di seguaci, surclassando star mondiali della musica come Britney Spears, Rihanna e Shakira.
In Italia siamo ben lontani da queste performance, anche perché la comunicazione politica ha incontrato Twitter solo di recente, come hanno spiegato di recente Marco Gambaro e Riccardo Puglisi in un’analisi pubblicata su Repubblica: «Al 9 di febbraio 2012, solo 304 dei 629 deputati hanno un account Twitter. Il picco di iscrizioni è avvenuto nel novembre del 2011, con 35 iscritti. A ruota segue dicembre 2011, con 32 iscritti. Nei partiti di centro la penetrazione è maggiore, anche superiore al 60%». La Lega è la più refrattaria al nuovo mezzo: il numero medio dei tweet è 49, contro gli oltre 2000 del Pd, i 1188 del Pdl, i 1800 dell’Udc e i 1055 di Fli. In cima alla classifica si collova però l’Idv che ha un numero medio di oltre 8000 followers e che è il partito che comunica con il maggior numero di tweet rispetto a tutti gli altri.
I rischi? Gambaro e Puglisi li riassumono così: «Non ci nascondiamo il rischio che la stringatezza dei 140 caratteri, unita al numero eccessivo di tweet ricevuti per unità di tempo, possa creare una situazione warholiana in cui tutte le notizie sono famose per 15 secondi, ovvero nessuna si traduce in un talora necessario e salutare approfondimento. Giornali e telegiornali saranno cosa del secolo scorso, ma i concetti di prima pagina e di scaletta forniscono un senso immediato, anche se imposto dal produttore, dell’importanza relativa delle notizie». Ma come mai i politici italiani, pur avendo a disposizione il più diffuso Facebook, prediligono Twitter? Uno dei motivi, spiegano Gambaro e Puglisi, sta nel fatto che su Twitter si crea un rapporto asimmetrico tra chi partecipa al network che consente una diffusione più rapida. «Poiché le notizie si diffondono molto prima e più rapidamente su Twitter che altrove, è evidente come i giornalisti, in quanto produttori di notizie, utilizzeranno sempre di più la rete dei cinguettii per raccogliere informazioni utili. I seguaci di fonti credibili e tempestive su Twitter potranno fare sempre meno affidamento sulle agenzie di stampa e i loro lanci, credibili sì ma sempre più spesso in ritardo. Anche gli utenti finali vedono contemporaneamente ai professionisti tutte le fasi di diffusione delle notizie, e questo favorisce la disintermediazione. Tuttavia, i tweet sono sì veloci, ma meno verificati delle fonti tradizionali, quindi è più facile cadere nelle bufale».
Gli analisti, osservando l’approccio dei politici rispetto al web, non esitano però a distribuire sonore bocciature: la nostra classe dirigente non ha compreso per nulla le potenzialità dei social media. La pensa così la sociologa Sara Bentivegna, che ha studiato per un mese la presenza dei parlamentari italiani in rete (la sua ricerca è stata pubblicata da Franco Angeli con il titolo Parlamento 2.0) ricavandone l’impressione che solo un esiguo numero è capace di confrontarsi con il popolo della rete: «Circa il 25% dei blog non offre la possibilità di interagire con “l’onorevole pensiero” e ben il 60% dei parlamentari non ha risposto ai commenti lasciati dai fan/elettori su Facebook nel periodo di rilevazione. Lontani anni luce dall’idea di un flusso di comunicazione three-way, i nostri politici nazionali sembrano accontentarsi di una self promotion che troppo ricorda la versione digitale del vecchio foglio ciclostilato». In pratica usano le bacheche Fb per rilanciare inutili comunicati o notizie di convegni che cadono nell’indifferenza generale. L’approdo su Twitter, invece, consente al politico di prima e seconda fila di farsi notare, di inserirsi subito nel dibattito che si sta sviluppando in quel momento, cercando con la “battuta” di concentrare su di sé l’attenzione dei media tradizionali.
Ciò che proprio i nostri politici non intendono fare è interagire. Mettersi in situazione di parità con i loro contatti in rete per rispondere alle domande, commentare, accettare/respingere critiche e proposte. Intuiscono, forse, che la rete, dove i rapporti sono orizzontali e non verticali, è il luogo in cui il carisma vecchio stile è destinato a scomporsi e ricomporsi continuamente nel gioco dialettico, è lo spazio dove puoi essere travolto da una creatività magmatica, dove le vecchie dicotomie non resistono e dove tutte le opinioni si rimettono continuamente in gioco. Abituati a un linguaggio assertivo, quello del comando e del potere, del tutto disabituati a essere criticati, si muovono dinanzi alle nuove tecnologie con la prudenza e la pigrizia mentale di chi rischia da un momento all’altro di perdersi in un labirinto.
«Internet, nuove tecnologie di comunicazione, social media – afferma Andrea Vitullo, autore del saggio Leadershit. Rottamare la mistica della leadership e farci spazio nel mondo – stanno cambiando profondamente il nostro modo di essere e di relazionarci. Siamo di fronte a un mutamento antropologico senza precedenti, in cui la connettività totale potenzia le possibilità dell’uomo, permette a tutti noi di essere protagonisti della nostra vita e meno spettatori passivi, follower o gregari. Milioni e milioni di esseri umani che si scambiano messaggi, opinioni e contenuti e che mettono in gioco le proprie biografie. Un tempo per far emergere un progetto era necessario agganciarsi a un’utopia, una fede o un’ideologia, e quindi a una leadership di qualche tipo. Oggi non siamo più solo soggetti passivi: ognuno di noi, mettendosi in relazione e in connessione con gli altri, può creare un nuovo valore, una nuova possibilità».

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