Mikis Mantakas, dopo 37 anni non c’è stata ancora giustizia

27 Feb 2012 19:48 - di Antonio Pannullo

Trentasette anni fa, la mattina del 28 febbraio 1975, a piazzale Clodio, a Roma, sede della città giudiziaria era in corso il processo ai tre militanti di Potere Operaio accusati del rogo di Primavalle. In quell’inferno di fuoco appiccato da mano comunista il 16 aprile 1973 erano rimasti arsi vivi Virgilio e Stefano Mattei, figli del segretario missino del quartiere. Gli incidenti tra gruppi dell’estrema sinistra e polizia davanti alle aule del tribunale scoppiano prestissimo. A un certo momento un gruppone armato di ottanta-cento persone, bastoni e fazzoletti rossi al collo, si sposta con obiettivo piazza Risorgimento dove, all’angolo con via Ottaviano, c’è la sezione del Msi.
È l’una e un quarto e gli assalitori sono arrivati nella piazza in assoluto silenzio, camminando piegati e rasenti i muri. Davanti alla sede Prati del Msi ci sono una ventina di giovani. Tra questi, un militante del Fuan, uno studente greco di medicina. Si chiama Mikis Mantakas. Se si esclude l’amicizia con alcuni frequentatori di via Siena, si tratta di un volto pressoché sconosciuto nell’ambiente. A proteggere l’obbiettivo “sensibile” non c’è l’ombra di un poliziotto. Quando le prime molotov sparate dagli ultracomunisti iniziano a piovere sul portone del palazzo c’è il panico. L’entrata viene sbarrata in fretta e furia mentre contro le ante di legno si scaglia la cieca rabbia dei rossi. La sezione si snoda in un profondo sottoscala sotto il livello del suolo: il pericolo è quello di fare la fine dei topi, mentre il corridoio dello stabile è già invaso da fiamme e fumo. Ma – questo i compagni lo ignorano – il palazzo ha anche un altro ingresso su piazza Risorgimento. I missini allora decidono di dividersi e sfruttare l’effetto sorpresa azzardando una disperata controffensiva per prendere alle spalle il commando degli assedianti: una decina di loro esce dall’ingresso della piazza e corre verso via Ottaviano. Arrivati all’angolo li accoglie una gragnuola di colpi. Secondo alcuni testimoni ci sono almeno due persone che sparano appostate dietro le macchine parcheggiate. Secondo altri testimoni quelli armati sono addirittura cinque. Mikis Mantakas cade a terra: un proiettile gli trapassa la regione parietale sinistra e resta conficcato nel cranio. Il marciapiede è sporco di sangue e materia cerebrale, ma i ragazzi non si perdono d’animo. Nella concitazione del momento trascinano il corpo esanime dello studente all’interno dell’androne dello stabile e con la forza della disperazione si chiudono il portone alle spalle. Sono in quattro: Paolo Signorelli, Maurizio Bragaglia, Stefano Sabatini e Fabio Rolli. Intanto il soprabito di Mikis ha preso fuoco mentre fuori gli assalitori sradicano un palo della segnaletica stradale e lo usano come ariete per sfondare il portone. Mantakas agonizza.
I quattro si spostano davanti a uno dei tre garage del cortile. Nessuno degli altri militanti può correre in aiuto perché il portoncino blindato della sezione che l’ultimo ha richiuso dietro di sé ha un congegno che si apre solo se azionato da un motorino elettrico. Ma il primo assalto ha provocato un black-out in tutto lo stabile. Il grosso dei militanti pertanto si ritrova al buio e per di più sigillato all’interno del locale. Gli extraparlamentari armati, una volta scoperta l’entrata secondaria, si concentrano su quest’ultima e provano a sfondarla e ci riescono. Una volta all’interno, si rendono conto che la sezione è inespugnabile e puntano sul garage. Scoppia il finimondo e un colpo di pistola 7,65 raggiunge Fabio Rolli al fianco.
In quel momento una pattuglia di militanti che tornano da piazzale Clodio irrompe nel cortile. Tra fumo, fiamme e colpi di pistola gli assalitori, temendo di trovarsi presi tra due fuochi, decidono di abbandonare il campo. Nella sezione intanto il gruppo rimasto in trappola riesce ad aprire la porta blindata. Hanno chiamato aiuto per telefono e nel frattempo riaprono il portone di via Ottaviano per tentare un ennesimo contrattacco per arrivare all’ingresso della piazza alle spalle dei nemici in fuga. Per strada, mentre percorre via Bastioni di Michelangelo sta passando in motocicletta un giovane tipografo, Luigi Picariello, raggiunto da un colpo vagante. Un proiettile gli perfora un polmone. Finalmente si fa viva la polizia. In un inseguimento rocambolesco per le vie Borgo Pio un agente ferma uno degli assalitori con la pistola ancora fumante: è Fabrizio Panzieri.
Viene subito arrestato e accusato di aver fatto parte del gruppo di fuoco che ha massacrato il giovane Mantakas. Ma la pallottola che ha ucciso il ragazzo è partita da un’arma diversa. Il fatto è che l’agente che ha intercettato Panzieri racconta di avere inseguito in realtà due giovani che poi a un certo punto si sono divisi. Nei giorni successivi nelle retate cade Alvaro Lojacono, militante di Potere Operaio figlio dell’economista ed esponente romano del Pci, Giuseppe Lojacono, e di una cittadina svizzera. Non gli è stata contestata neppure una multa.

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