Foibe, il dovere del ricordo contro gli ultimi «talebani»
Quando nel 1996, da presidente della Camera, disse che «per condiscendenza e nella storia scritta dai vincitori» gli eccidi titini erano stati cancellati dalla memoria collettiva italiana successe un putiferio. Oggi Luciano Violante sarà a parlare di foibe alla biblioteca Rispoli di Roma ed è un fatto ordinario. O quasi, perché poi è vero che la memoria dell’esodo e del massacro degli italiani dell’Est non è più «una pagina strappata», come si diceva una volta, ma è vero anche che molto resta da fare.
Quelli che ancora negano
Proprio a ridosso del Giorno del Ricordo, che si celebra il 10 febbraio, arrivano a testimoniarlo vari episodi. L’ultimo è quello che si è verificato a Pistoia. Il sindaco Renzo Berti, che è anche presidente del Cudir (Comitato unitario per la difesa delle istituzioni repubblicane), ha deciso di donare alle scuole un volume sull’argomento perché «spesso i giovani ne conoscono poco». Iniziativa lodevole, se non fosse che il libro Dossier foibe riporta indietro di decenni. «Il volume – si legge nel comunicato del Cudir – fornisce nuovi strumenti documentari per interpretare gli eventi istriani del settembre-ottobre 1943, il periodo che intercorre tra la capitolazione dell’Italia nella seconda guerra mondiale e l’occupazione tedesca dell’Istria». Ma quali sono questi argomenti? La nota lo spiega riportando le parole dell’autore, Giacomo Scotti, che nell’introduzione scrive: «Ci limitiamo all’Istria (Trieste e Gorizia del maggio-giugno 1945 sono altra cosa), perché le sanguinose vicende che vanno sotto il nome di foibe non si ripeterono in Istria dopo il 1943. Ci furono altri eccidi, ma le vittime furono le popolazioni civili e i partigiani, ed a compierli furono tedeschi e fascisti, da nessuno finora incriminati per questo». Scotti, è chiarito ancora nel comunicato, è di origini napoletane ma ha vissuto nella Pola e nella Fiume di Tito dal 1947. Poi, nel 1985, a cinque anni dalla morte del “maresciallo”, decise di fare rientro in Italia. «Invito i dirigenti scolastici a garantire la più ampia divulgazione del libro ed eventualmente ad organizzare riflessioni sull’argomento», sono state le parole con cui il sindaco Berti ha accompagnato il dono.
E quelli che dimenticano
Prima di questa vicenda, a testimoniare quanto ancora ci sia da fare, si erano registrati altri episodi. Uno è quello che è accaduto a Napoli, dove il sindaco Luigi De Magistris aveva “dimenticato” di inserire le celebrazioni nel calendario del Comune, salvo poi rimediare con un incontro con gli studenti. Un altro è quello che è accaduto a Firenze, dove il corteo organizzato dagli ambienti della destra giovanile è stato accolto tra proteste e allarmi antifascisti. A questo va aggiunto un recente sondaggio che dice che il 43% degli italiani sa cosa siano le foibe e l’esodo. Il che significa, di contro, che il 57% non lo sa ancora, nonostante la Giornata del Ricordo sia stata istituita ormai otto anni fa e preveda l’organizzazione da parte di istituzioni, enti e scuole di momenti di approfondimento e riflessione.
Il dovere di ricordare
«Certo, rispetto a quando la conoscenza non superava il 10% c’è un miglioramento, ma non credo ci si possa dire soddisfatti», commenta Fabio Rampelli, che oggi sarà alla biblioteca romana di piazza Grazioli al fianco di Violante. Con lui si confronterà, a partire dalle 19, su quello che fu «un tentativo di genocidio di italiani». «Il fatto che solo il 43% degli italiani sappia di questo tentativo di genocidio – aggiunge Rampelli – la dice lunga sulla cancellazione di una parte della nostra memoria e identità culturale che è stata messa in atto nel corso dell’intero dopoguerra. Faccio fatica – prosegue il deputato del Pdl – a immaginare che altri popoli che abbiano subito un tentativo di genocidio conoscano solo nel 43% dei casi un argomento che li ha visti come vittime». Dunque, secondo Rampelli, il primo nemico da combattere resta la rimozione della memoria, che si sconfigge promuovendo incontri, convegni, iniziative editoriali, qualsiasi cosa possa contribuire a diffondere la conoscenza di questa parte drammatica di storia italiana. A queste attività si è dedicata con grande attenzione l’istituzione delle Biblioteche di Roma, organizzando un corposo calendario di eventi pressoché in tutte le strutture del circuito e che prevede presentazioni di libri, proiezioni di film, momenti didattici dedicati ai bambini.
«La madre degli imbecilli…»
Di quelli che si oppongono e protestano, invece, Rampelli ricorda che «la madre degli imbecilli è sempre incinta» e si dice perplesso che al fianco dei «soliti ultracoministi o talebani dei centri sociali che inneggiano a Tito» si trovino anche realtà come la Cgil e associazioni nazionali. Altra cosa è per Rampelli quando, come nel caso di Pistoia, ci si trova di fronte a tentativi negazionisti messi in atto da figure istituzionali: «Per quanto mi riguarda trovo che l’iniziativa di questo sindaco sia vergognosa e mi fa orrore al pari della pubblicistica che ha tentato in passato di negare la Shoah». «Comunque, si tratta di atteggiamenti residuali che – spiega – rappresentano un autogol per chi li mette in atto. Il Giorno del Ricordo fu istituito con un voto unanime al quale partecipò anche la sinistra, poi all’interno di questo sentire diffuso ci sono delle sacche di resistenza radicate perché, posto che le vittime erano italiane e non fascisti, certamente i carnefici erano comunisti. Credo che questo per alcuni crei difficoltà nell’elaborare il dramma delle foibe».
Non fascisti, ma italiani
E proprio Ci chiamavano fascisti. Eravamo italiani è il titolo del libro che sarà presentato oggi alla Rispoli e che è lo spunto per il dibattito a cui, oltre Violante e Rampelli, parteciperanno il vicepresidente del Comitato 10 febbraio Michele Pigliucci e l’autore. Si tratta del giornalista e scrittore salernitano Jan Bernas, che delle foibe e dell’esodo ha iniziato a interessarsi quando era al liceo per una frase detta da una sua professoressa: «Fece un passaggio veloce sull’argomento. Io le chiesi spiegazioni e mi rispose che erano tutti fascisti in fuga. Mi sembrò una risposta ingiusta e decisi di approfondire». Da quel momento, Bernas ha iniziato a investigare la questione non solo dal punto di vista dell’esodo e delle foibe, ma anche da quello «molto più complesso degli italiani che sono rimasti dall’altra parte». Di là dall’acqua, «c’è ancora una minoranza italiana di cui pochissimi sanno ed è paradossale e triste che tanti italiani che vanno in vacanza in Croazia invece di dire Fiume dicano Rijeka o Pula al posto di Pola e che si stupiscano di trovare scritte italiano», commenta Bernas, che all’attualità della questione istriana ha dedicato ampia parte del suo libro, corredato da una prefazione di Walter Veltroni e una postfazione di Gianfranco Fini. «Bisogna saper anche andare oltre le foibe e ritrovare, insieme – prosegue Bernas – le storie di quei tanti italiani che sono rimasti e che a un certo punto si sono sentiti stranieri a casa propria». Anche questo, sottolinea l’autore, è stato uno degli effetti della «cortina del silenzio che è stata calata su quella parte di nostra storia e che è frutto di una rimozione voluta da parte della classe politica».