Taxi driver sul sentiero di guerra
«Ci vogliono sfondare il cranio», urla un tassista indicando come killer gli inquilini di Palazzo Chigi. E giù proteste e maledizioni, scongiuri e rabbia, «non passeranno», qualche gesto dell’ombrello e un po’ di smarrimento. Anche per una questione scaramantica, i “professoroni” al governo avrebbero potuto agire con più prudenza. Nel 2006 ci provò Bersani, con le sue lenzuolate, a entrare a gamba tesa sui tassisti. Sappiamo tutti com’è finita, ricordiamo la fuga a gambe levate dell’attuale leader del Pd e l’inizio della fine per il “governaccio” di Prodi. Corsi e ricorsi storici. Ora quella che provocatoriamente si è definita la “casta dei poveracci” (“poracci”, in romanesco) ci riprova e sceglie Bologna come prima tappa: parte da lì la marcia dei tassisti italiani contro lo spauracchio delle liberalizzazioni di Monti. E proseguirà lunedì prossimo con un’assemblea al Circo Massimo di Roma e una settimana dopo, il 23, con lo sciopero nazionale. Così ha deciso il “parlamentino” nazionale di 19 sigle fra sindacati e cooperative del settore, riunito a Bologna e allargato per l’occasione. Più di sei ore per trovare una linea comune, sofferta e faticosa, tra oltranzisti pronti allo “sciopero-subito” e rappresentanti sindacali più morbidi che, pur rimanendo contrari alle nuove licenze, avrebbero voluto incontrare il governo mettendo sul piatto un carnet di proposte. Ed è proprio la “base” a scaldarsi non appena gli autisti, circa 150 provenienti da più regioni, hanno riempito una sala del palazzone Legacoop. A fare la voce grossa soprattutto i romani. «Siamo pronti a scendere in piazza», avverte un autista di Fiumicino. «Non si tratta», sentenzia un altro. Subito dopo la rabbia si è spostata contro i giornalisti, accusati di non raccontare la verità («Siete voi la vera casta») e invitati a uscire dalla sala anche con toni spicci. I toni si fanno sempre più accesi. Stavolta i “professoroni” hanno un piccolo dubbio: forse abbiamo fatto il passo più lungo della gamba.