Non si parli più di spread, tanto il Cav se n’è andato

29 Dic 2011 20:43 - di

Nessuno parli più dello spread, l’unico a non mettersi a tappetino davanti al governo dei tecnici, l’unico a non obbedire alla dittatura mediatica e all’azione di ipnosi dei grandi giornali. Monti ha così deciso: non conta più nulla, né se sale né se scende. Maledetto spread, aveva avuto la consegna di mettersi l’anima in pace una volta che Berlusconi avesse dato le dimissioni e, invece, imperterrito continua a navigare oltre quota 500. E non si è concessa una pausa nemmeno nella giornata in cui il governo ha piazzato sul mercato 7 miliardi di Btp e il premier “tecnico” ha tenuto la conferenza stampa di fine anno (524 il livello massimo raggiunto nella mattinata di ieri). Francamente, deve aver pensato Monti, meglio cancellare quella parola da giornali e tiggì. E ai cronisti che gli chiedevano dello spread ha detto: «La lettura che io dò, e di cui vi prego di tenere conto, è di non sovrastimare  questo aspetto della questione, né quando va bene né quando va male». Come dire: andava bene parlarne quando c’era da attaccare il Cavaliere, oggi sarebbe fiato sprecato. Peccato che non basti una semplice considerazione di Monti per disinnescare una situazione che sta diventando molto complicata e che costa molto al governo in termini di immagine. Il suo insediamento è avvenuto sull’onda di una vera e propria campagna di stampa che accreditava alla sola figura di Berlusconi il valore in negativo di 300 punti di spread e adesso è difficile convincere gli italiani del contrario.

Btp: un’asta senza sprint
E nemmeno i mercati appaiono disposti a buttarsi dietro le spalle quello che è stato il filo conduttore di un’azione tesa a delegittimare il governo di centrodestra, che ha finito per nuocere gravemente al nostro Paese. Mercoledì l’asta dei Bot, con il tutto esaurito, aveva aveva dato l’impressione che qualche cosa stava mutando e i Monti-boys avevano subito cantato vittoria. Ieri, però, con il collocamento dei Btp, il loro ottimismo è andato a farsi friggere: su uno stock di titoli di 8,5 miliardi solo 7 hanno trovato collocamento, a un tasso che per quelli a 10 anni è rimasto al 7,07 per cento. Nulla di traumatico, poteva andare peggio, ma è chiaro che non tutto gira come Monti avrebbe voluto. E la lettura di quanto avvenuto è più preoccupante di quanto non si possa pensare a prima vista. Infatti, i compratori per i nostro Bot sono tornati, perché gli analisti hanno la sensazione che, adesso più di qualche mese fa, il nostro Paese a breve termine sia solvibile (c’è stata l’ultima manovra) e i Bot hanno scadenza trimestrale o semestrale. Sul lungo periodo, invece (i Btp sono a tre, sei e dieci anni) le cose sono ancora diverse: qui la stangata non ha avuto nessun effetto e vale la delusione per i provvedimenti assunti dalla Ue. Poco poteva fare Berlusconi e molto poco può fare Monti. Peccato che quando il Cavaliere cercava di dire queste cose gli si rispondeva con uno sberleffo. Noi, almeno su questo aspetto della questione, siamo d’accordo con l’attuale premier: «Nei fondamentali della nostra economia non c’è nulla  che giustifichi uno spread così alto». Ma eravamo d’accordo anche quando da Palazzo Chigi era il suo predecessore a sostenere queste tesi: altri, invece, danno l’impressione di aver scoperto l’ovvio solo oggi e per convenienza: almeno abbiano la compiacenza di chiedere scusa.

Benzina: prezzi alle stelle
Alle virtù taumaturgiche del governo Monti non ci credono i mercati, ma non ci credono nemmeno i cittadini, vessati con nuove tasse e dai rincari che finiranno per incidere pesantemente sul reddito disponibile delle famiglie. E non potrebbe essere altrimenti, visto che aumenta l’Iva, aumentano le addizionali Irpef, aumentano le imposte sulla casa, aumentano le tariffe autostradali, aumentano le accise sulla benzina e aumenta perfino l’abbonamento Rai. Ieri il Corriere della Sera raccontava stupito che le code di automobilisti ai valichi di frontiera con la Slovenia e la Svizzera aumentano di giorno in giorno. Varcano il confine per fare il pieno: in Italia i prezzi dei carburanti alla pompa stanno diventando insostenibili. Altro che armonizzazione con l’Europa, su questo fronte stiamo peggio degli anni Novanta, così gli automobilisti si industriano e vanno all’estero, dove si stima stiano acquistando 250 milioni di litri di carburanti, con la perdita per il nostro Paese di 240 milioni di euro. Un gioco che vale la candela. In Italia, ieri, sia la benzina che il gasolio erano a quota 1,7 euro per litro, mentre appena oltre frontiera, in territorio svizzero la Verde veniva erogata alla pompa a 1,295 e il diesel a 1,472. I consumatori del Codacons fanno qualche conto e rilevano che soltanto negli spostamenti di Capodanno gli italiani spenderanno 215 milioni di euro in più rispetto al 2010. Un pieno di gasolio richiede infatti circa 17,3 euro di esborso in più, uno di benzina 13 euro.

Piove sul bagnato
Pressione fiscale alle stelle, caro benzina e caro servizi ormai ai limiti del sopportabile, ma anche tariffe in corsa sostenuta e prezzi che viaggiano a una velocità doppia rispetto a salari e stipendi. Il tutto in una situazione che, secondo la Cgia di Mestre, dal 2000 a oggi ha registrato aumenti boom per tutte le tariffe e soprattutto per quelle gestite dai Comuni. In poco più di un decennio l’inflazione ha registrato un più   27,1 per cento, mentre le bollette dell’acqua potabile sono aumentate addirittura del 70,2 per cento e i rifiuti urbani del 61. La mappa dei rincari ha interessato anche i trasporti ferroviari (+53,2 per cento); i pedaggi autostradali (+49,1); il gas (+43,3); i trasporti urbani (+39,5); i taxi (+37,7); i servizi postali (+30,4); l’energia elettrica (+26,2). Il prezzo dei servizi telefonici, dove la concorrenza in qualche modo funziona, è diminuito dell’11 per cento. Il tutto in una situazione che, considerando i dieci anni di vigenza dell’euro, ha visto i prezzi di generi anche di prima necessità viaggiare a una velocità doppia, tripla e talvolta quadrupla rispetto all’inflazione. Prendiamo, ad esempio, una pizza 4 stagioni: nel 2001 costava 5,16 euro, oggi per acquistarla di euro ne servono 10. E il caffè? Costava 0,77 euro, oggi ne costa 1, mentre per un cappuccino ci volevano 1,03 euro e oggi ce ne vogliono 2. E un biglietto del tram si acquistava con 0,77 euro e oggi ne servono 1,5. Fin qui le cose che sono sotto gli occhi di tutti e vengono quantificati senza problemi dagli enti di rilevazione. Il Codacons denuncia anche aumenti occulti come nel caso dei treni Frecciarossa, i cui biglietti, solo con il recente cambiamento dei livelli di servizio, sono cresciuti, nell’indifferenza generale, del 9,9 per cento.

La povertà vola
In tempi di crisi, con le tasse che aumentano, gli stipendi fermi e le tariffe sempre più esose, alle famiglie italiane non basta tirare la cinghia per esorcizzare lo spettro della povertà. L’analisi dell’Istat ci dice che i “poveri storici” sono ridotti praticamente allo stremo, mentre il vecchio ceto medio viene spinto verso la marginalizzazione e ci scivola dentro anche quando ha un lavoro e una casa di proprietà. L’ultimo rapporto Caritas-Fondazione Zancan rileva che dal 2007 al 2010 queste situazioni sono aumentate del 13,8 per cento. E per i giovani non va meglio. Secondo lo stesso rapporto tra coloro che si rivolgono ai centri di ascolto il 20 per cento ha meno di 35 anni. Il più penalizzato è il Sud, ma non ci sono località dove non si registrano situazioni di disagio. Persino a Cortina il parroco Davide Fiocco segnala tre famiglie che hanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese e, per la prima volta quest’anno, la parrocchia è intervenuta in loro aiuto utilizzando fondi della Caritas.

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