“Aveva ragione la Gelmini”: (se ne accorgono solo ora)
Gli studenti chiedono che la scuola li avvi al lavoro, li faccia maturare e accresca la loro cultura. Tre punti fondamentali che sono contenuti nella tanto contestata riforma Gelmini. Misure che, malgrado le polemiche e le manifestazioni strumentali della Cgil e della sinistra, sono riuscite, in colpo solo, a scardinare un sistema che aveva trasformato la scuola in un parcheggio per gli studenti poco volenterosi o in un ammortizzatore sociale per creare occupazione; e che hanno dato meno frammentazione e più approfondimento soprattutto nei licei e offerto più spazio alla qualità. Non solo, l’ex ministro con la modifica della scuola tecnica ha, per la prima volta, ha collocato questo segmento di istruzione non in serie “B”. Anzi l’ha collegato direttamente col mondo del lavoro tant’è che si è intensificato il rapporto tra le imprese e il mondo dell’istruzione attraverso il nuovo strumento dei comitati tecnico scientifici. A novembre, infatti, undici aziende in concerto con altrettanti istituti scolastici hanno offerto la possibilità a centinaia di giovani di poter sviluppare le competenze e le abilità professionali per entrare nel mondo del lavoro.
L’indagine Eurispes
Una conferma che le scelte dell’ex ministro andavano nella direzione giusta si sono avute ieri con l’Indagine realizzata dall’Eurispes e da Telefono Azzurro. Peccato che se ne siano accorti solo ora. I numeri infatti parlano chiaro: per il 32,5% degli adolescenti la scuola deve soprattutto preparare al mondo del lavoro, per il il 27,8 far maturare e per il 26,6% accrescere la loro cultura. «Sono dati che non mi stupiscono – dice Fabio Rampelli, componente Pdl della Commissione Cultura della Camera – L’intero comparto della pubblica istruzione fino alla riforma universitaria ha subito un vera e propria rivoluzione in tre anni di governo seguendo la stella polare della meritocrazia, della formazione culturale di profondità (e quindi antinozionistica) e riscoprendo il senso delle istituzioni, il senso civico e l’educazione alla cittadinanza. Intorno a questi concetti si è aggiunto il tentativo di orientare la formazione anche verso professioni e mestieri». Il concetto di fondo, spiega il parlamentare del Pdl, «che abbiamo perseguito è stato quello di non separare la cultura classica dall’acquisizione di informazioni tali da mettere lo studente, una volta uscito dalla scuola, nelle condizioni di intraprendere una professione. Infine, non si può trascurare la grande sterzata che c’è stata in tutto il settore accademico con una premialità degli atenei virtuosi».
L’ingresso nel mondo del lavoro
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Paola Frassinetti: «Da quanto emerge dall’indagine si tratta di esigenze alle quali la riforma Gelmini ha fatto fronte concretamente, sia facilitando l’ingresso nel mondo del lavoro degli studenti, proprio per aver potenziato e riqualificato gli istituti tecnici, (e questo dato è dimostrato dall’incremento delle iscrizioni), sia per quanto riguarda l’attenzione alla cultura tipica della nostra tradizione scolastica. La riforma – ha concluso – ha tutelato l’istituzione del liceo classico e ha anche mantenuto gli indirizzi di altri licei in grado di toccare tutte le discipline del sapere. Tutto ciò ha fatto sì che nell’ordinamento scolastico ci sia armonia tra un buon livello di preparazione tecnica per chi vuole trovare un lavoro dopo la scuola e una buona preparazione di cultura generale per chi vuole accedere dopo al percorso universitario». Una valutazione positiva che è arrivata anche dal mondo giovanile e universitario.
Il parere dei giovani
«La riforma Gelmini – spiega Marco Perissa, segretario nazionale Giovane Italia – è stata un buon inizio e ora bisogna proseguire in questa direzione per costruire un giusto equilibrio tra l’aspetto pratico della formazione e l’aspetto della formazione umanitaria perché le nozioni della cultura generale fanno da collegamento tra persone che appartengono a classi sociali differenti o che hanno competenze specifiche diverse. Ora dal prossimo governo democraticamente letto ci aspettiamo un’azione forte nei confronti dei poteri sindacali che negli ultimi trent’anni hanno trasformato la scuola in un ufficio di collocamento per i tesserati di partito». Andrea Moi, responsabile romano del movimento studentesco nazionale, puntualizza che il movimento «è sempre stato favorevole all’approccio al mondo del lavoro con stage formativi che aiutassero i ragazzi ad acquisire capacità tecniche e al tempo stesso opportunità di lavoro maggiori. La riforma Gelmini è positiva soprattutto nel punto in cui sottolinea il recupero dei lavori che si stanno perdendo, come quelli dell’artigianato che poi sono quelli che caratterizzano la produzione italiana all’estero».
Lo strapotere della Cgil
Per Michele Pigliucci, dirigente nazionale della Giovane Italia, «il grande merito della riforma Gelmini è quello di aver dato più funzionalità agli istituti tecnici, commerciali e professionali collegandoli al mondo del lavoro e creando sinergia reale anche soprattutto grazie ai contratti di apprendistato. I ragazzi così già entrano nel mondo del lavoro attraverso gli ultimi anni di formazione della scuola. In questo contesto non va dimenticata la centralità dei licei e della cultura umanistica che per l’Italia può e dev’essere considerato un valore anche economico. Il governo Berlusconi – puntualizza – ha avuto il coraggio di intervenire in un campo di assoluto monopolio della Cgil scuola. La sinistra in questo contesto si è fatta dettare l’agenda delle contestazioni dalla Cgil scuola e l’assurdità è che gli stessi studenti di sinistra sono scesi in piazza per difendere i privilegi dei professori anche ai loro danni». E, infine, anche Francesco Di Giuseppe, responsabile nazionale di Avanguardia Studentesca, «la riforma Gelmini ha avuto un’impronta buona perché ha aumentato le ore di inglese e ha previsto più materie tecniche per aiutare i ragazzi a entrare nel mondo del lavoro. Una riforma che per noi giovani è stata molto importante perché finalmente ha introdotto la meritocrazia. Purtroppo la riforma, ottima nella sua ossatura, ha dovuto fare i conti quest’anno con i tagli imposti da Tremonti che hanno penalizzato le ore di laboratorio. In realtà con la riforma finisce la cultura sessantottina che di fatto ha abbassato i livelli delle scuole e delle università creando parallelamente uno strapotere dei professori che colpiscono con l’accetta chi non la pensa come loro».