Ingroia arruola post mortem anche Falcone e Borsellino

2 Nov 2011 19:53 - di

Ritorna ancora sul luogo del misfatto Antonio Ingroia, meglio noto ormai come il “partigiano della Costituzione”. Per nulla pentito, questa volta ha parlato però non dal pulpito dei nostalgici italiani del comunismo ma in diretta dalle reti Mediaset: «Ho utilizzato un’espressione forte ma che rivendico – ha spiegato a Maurizio Belpietro, riferendosi all’espressione utilizzata dal palco del congresso dei comunisti di Diliberto –. In Italia da un po’ di tempo si è creata una corrente di pensiero che pensa che noi magistrati non possiamo aprire bocca su temi come la Costituzione e la giustizia e invece non deve essere così. Rivendico la mia imparzialità nelle decisioni ma ciò non significa essere indifferenti di fronte alla Costituzione».

Pm (ancora) all’attacco
Così il pm palermitano – dopo le numerose critiche piovute per queste sue esternazioni – è tornato a sparare sul mucchio del problema giustizia senza individuare un bersaglio preciso. Secondo Ingroia, un conto è il ruolo dei magistrati in un’aula di giustizia, altro conto è quando si è fuori dalle aule. «Il ruolo dei magistrati – ha spiegato – è quello di svolgere un ruolo apolitico nelle aule di tribunale. Ma fuori devono poter interloquire, tanto più sui temi della giustizia». A poco sono bastate le critiche che gli sono piovute dagli stessi colleghi dell’Associazione nazionale magistrati sull’opportunità delle sue dichiarazioni. «Non condivido l’opinione di Cascini – ha replicato al presidente dell’Anm – ma denoto che sul dibattito c’è un po’ di arretramento. Lo denunciano le tante polemiche». Sulla Costituzione, poi, rivendicando «il diritto a partecipare ai dibattiti», ha chiarito quale sia il suo “programma”: «Questa Costituzione va bene così come è. Mi preoccupa invece la riforma». Si capisce, insomma, qual è la cifra del “progressismo” del magistrato.

«In politica? Mai dire mai»
Interpellato anche sull’opportunità che un magistrato passi dalla magistratura alla politica, Ingroia ha tutt’altro che chiuso le porte all’ipotesi: «I magistrati, come ogni cittadino, hanno diritto di elettorato dopodiché ci sono profili di inopportunità. Penso a chi ha lavorato in magistratura su un territorio». Sul fatto che venne caldeggiata la candidatura di Ingroia a sindaco di Palermo, il pm ha detto: «Già all’epoca espressi le mie perplessità e dissi chiaramente che non mi candidavo. “Mai” è sempre una parola troppo grossa ma alla candidatura di sindaco dissi no, ci sarebbero problemi». E alla domanda di Belpietro – «Lo avrebbero fatto anche giudici come Falcone e Borsellino?» – il pm qui si è incartato per l’ennesima volta. «Entrambi – ha detto Ingroia – andavano a manifestazioni del Partito comunista del tempo e del Movimento sociale».

“L’arruolamento” fuori luogo
Affermazione, quest’ultima di Ingroia, quanto mai infelice. Perché, prima di tutto, non si ricordano a memoria manifestazioni sotto l’insegna della falce e martello che abbiano avuto Giovanni Falcone come relatore. Ma ammesso che il giudice vi abbia partecipato, risaputo è l’ostracismo che settori interi del Partito comunista ebbero contro Falcone quandò accettò dall’allora ministro socialista Claudio Martelli l’incarico al ministero di Grazia e Giustizia. Poco importa che Falcone in realtà aprì la strada a leggi che il Parlamento avrebbe successivamente approvato, e in particolare sulla procura nazionale antimafia. Mentre si discuteva di quest’ultima in Aula, un esponente della sinistra parlamentare presentò un emendamento per escludere Falcone da una simile carica, votato dal gruppo del Pci/Pds. Così come storica è l’invettiva di un “professionista dell’antimafia” come Leoluca Orlando – adesso ai vertici del partito di Antonio Di Pietro – che intervenne violentemente contro Falcone durante una puntata del Maurizio Costanzo show, poco prima della sua morte. In quell’occasione il giudice veniva accusato, tra le altre cose, anche di «stare nel palazzo di Governo». Leoluca Orlando costrinse Falcone a difendersi poi da accuse gravissime, dinanzi alla prima commissione del Csm. Presentò un esposto, all’organo di autogoverno, nel quale accusava Falcone di tenere “nascosti” nei cassetti le prove della connivenza di politici con la mafia. Falcone definì tutto questo «eresie, insinuazioni», «un modo di far politica attraverso il sistema giudiziario».

Paolo parlava ai giovani
Un arruolamento post-mortem dei due giudici uccisi dalla mafia da parte di Antonio Ingroia che risulta inopportuno tanto storicamente quanto politicamente. Perché è vero che Paolo Borsellino partecipò alla festa estiva del Fronte della gioventù – ai tempi organizzazione giovanale del Msi anche se caratterizzata da una spigliata autonomia – di Siracusa nel 1990. Ma, di quell’incontro che ha fatto storia, non si ricordano invettive antipolitiche. Bensì un incoraggiamento ai ragazzi a non piegarsi contro un potere – l’anti-Stato rappresentato dalla mafia – che in quegli anni stava sfidando con la violenza le istituzioni: «Potrei anche morire da un momento all’altro – diceva il giudice ai giovani del Fdg – ma morirò sereno pensando che resteranno giovani come voi a difendere le idee in cui credono… Ecco, in quel caso non sarò morto invano». Ed è anche vero che Borsellino parlò a un convegno della rivista della sinistra radical Micromega, poco prima dell’attentato che gli costerà la vita, dove utilizzò parole forti contro la politica: ma quelle erano le riflessioni legittime di un uomo sotto assedio. Si dirà: ma in fondo sia Falcone che Borsellino erano personaggi pubblici che partecipavano in vario modo sia a manifestazioni che a programmi televisivi. A questa interpretazione così debole si può rispondere che è vero che in qualche modo i due magistrati godevano di “visibilità”. Ma ciò fu legato a un contesto dove i giudici, i poliziotti, gli inquirenti venivano ammazzati dalla mafia. «Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene» diceva Borsellino. Perché in quei giorni occorreva puntare i riflettori sul tentativo della mafia di mettere a tacere le inchieste che il magistrato stava portando avanti. Cosa ben diversa dalle uscite di Ingroia che sanno tanto invece di entry strategy in politica.

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