Gli orchi sono brutti, ma non si può dire. E Tolkien finì all’indice come razzista

28 Nov 2018 14:57 - di Redattore 54

Si comincia poco alla volta: prima si cambia Cappuccetto Rosso che non è più una bambina indifesa dinanzi al lupo, in omaggio all’emancipazionismo femminista. Poi si critica il bacio con cui il principe risveglia la Bella Addormentata perché sarebbe un gesto “sessista”. Quindi dalle favole si passa ai capolavori letterari: per esempio si guarda di traverso Shakespeare perché è sospettato di essere un bianco suprematista. E infine si comincia a mettere sotto la lente d’ingrandimento J.R.R. Tolkien e il suo bestseller “Il Signore degli Anelli”, già accusato dalle femministe di essere solo una favola per “maschi adolescenti”. Stavolta l’accusa è diversa: è quella di razzismo. Una critica che obbedisce alla vulgata del politicamente corretto, una melassa di luoghi comuni che spinge fino a logiche di censura l’incomprensione verso testi che non siano contemporanei.

Qual è la colpa di Tolkien? Di avere immaginato gli Orchi troppo brutti. Una sorta di “razza” inferiore, ragiona (o sragiona) lo scrittore fantasy Andy Duncan, rilanciato dal sito Wired. Ergo, Tolkien era uno scrittore pieno di pregiudizi, uno che pensava vi fossero razze superiori e popoli inferiori. Un colpo al cuore per i fan dell’inventore della saga della Terra di Mezzo. Inutile replicare che gli Orchi sono brutti perché rappresentano il male metafisico e dunque belli non possono essere. Inutile anche sottolineare che Tolkien, pur essendo uno studioso di mitologia nordica, disprezzava l’ideologia razzista dei nazionalsocialisti. I popoli di Tolkien sono immaginari, e quelli che servono il male perdono ogni caratteristica di umanità e civiltà. Ciò è funzionale alla sua idea “consolatoria” della narrazione, dell’opera che ha lo scopo di una rigenerazione spirituale. Inutile parlarne con chi ignora le sfumature e si tuffa nel pregiudizio.

E’ in atto infatti, e a più latitudini, una sorta di iconoclastia che non risparmia i capolavori del passato, come se fosse lecito adeguare la letteratura alla mentalità corrente attraverso la censura, la riscrittura, l’oscuramento. Così i professori di tre scuole medie di Ascoli vietano Mozart agli alunni perché l’opera “Così fan tutte” sarebbe troppo scabrosa. E le maestre di una scuola di Monterenzio (Bologna) hanno chiesto di cambiare la Regina delle Nevi di Andersen perché fa troppa paura. Tra follie e rimozioni, psicologismi d’accatto e luoghi comuni buonisti tutti i capolavori del passato, tutta la letteratura, tutte le favole, tutti gli autori sono in pericolo. Un fenomeno che non risponde solo alle logiche del politicamente corretto ma anche alla tentazione, tutta filosofica, di allontanare l’idea del male. Se non lo si rappresenta, il male non esiste. Gli scrittori che amiamo – per fortuna – non erano d’accordo. Ed anche per questo, forse, non passeranno mai di moda a dispetto dei ridicoli censori contemporanei. E continueranno a piacere soprattutto ai bambini che, privi di sovrastrutture ideologiche, apprezzano sempre il mito che fa capolino tra le brume dell’algida razionalità.

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