Zimbabwe, il “coccodrillo” pronto a raccogliere l’eredità del feroce Mugabe

29 Lug 2018 13:00 - di Redazione

Per anni è stato il braccio destro del feroce dittatore dello Zimbabwe Robert Mugabe, ma secondo gli osservatori gli elettori si affideranno comunque a lui, Emmerson Mnangagwa, per risollevare il Paese dal baratro economico nel quale lo aveva portato l’anziano dittatore destituito dai militari lo scorso novembre. “Il Coccodrillo”, questo il soprannome di Mnangagwa, ha assunto il ruolo di presidente dopo le dimissioni di Mugabe promettendo “elezioni libere e trasparenti”, ma le opposizioni già denunciano il pericolo di brogli. Gli elettori che domani si recheranno alle urne, troveranno sulla scheda, per la prima volta in quasi 40 anni, il nome del 75enne Mnangagwa al posto di quello Mugabe, come candidato dello Zanu-PF, il partito di governo che ininterrottamente, dal 1980, occupa saldamente tutti gli snodi di potere del Paese. Secondo alcuni, il “Coccodrillo” è troppo compromesso con il passato regime semidittatoriale imposto da Mugabe, per essere un’alternativa credibile di cambiamento. Ma tra gli altri 23 candidati che si presentano al voto solo il 40enne Nelson Chamisa, leader dll’Mdc (Movement for Democratic Change), ha qualche chance di contendere la presidenza a Mnangagwa. Qualunque sia l’esito del voto, l’attuale presidente non vuole correre rischi e nelle scorse settimane ha provveduto ad aumentare del 20 per cento gli stipendi dei militari.

Un segnale di cambiamento, secondo le cronache che giungono dalla capitale Harare, già si percepisce però. Per la prima volta da tanti anni gli elettori discutono apertamente in pubblico delle loro scelte, mentre non sono state registrate particolari violenze come in passato, quando i comizi dell’Mdc venivano spesso interrotti dalle violenze delle squadracce di Mugabe. Quello che non sembra cambiato è l’atteggiamento dei media di stato verso le opposizioni. I comizi di Chamisa vengono quasi sempre ignorati, mentre il quotidiano The Herald pubblica editoriali in cui accusa l’Mdc di voler instaurare un clima di violenza e instabilità nel Paese. Eppure, secondo un sondaggio circolato recentemente, l’esito del voto sembrerebbe tutt’altro che scontato. Chamisa e Mnangagwa sarebbero quasi testa a testa, con il presidente uscente in vantaggio di appena 3 punti percentuali. Contro Chamisa, un pastore cristiano che ha sostituito il fondatore Morgan Tsvangirai alla guida dell’Mdc, piovono accuse di collaborazionismo col passato regime della famiglia Mugabe. Secondo i suoi detrattori, Chamisa sarebbe a stretto contatto con Grace Mugabe, l’ex first lady le cui ambizioni presidenziali furono uno dei motivi del colpo di stato militare di novembre.  Chamisa respinge le accuse, ed è per certi versi paradossale che debba essere lui, esponente dell’opposizione, a prendere le distanze dalla famiglia Mugabe. Secondo alcuni osservatori, queste accuse, così come le divisioni interne al suo partito, potrebbero compromettere le sue chance di vittoria. Chamisa non è comunque il solo a doversi distanziare dall’anaiznao leader deposto dopo 40 anni di regno sullo Zimbabwe. Tutti i maggiori esponenti dello Zuma-PF fanno a gara per negare un eccessivo coinvolgimento con la famiglia Mugabe, fino a pochi mesi fa riverita pubblicamente e privatamente. Nonostante queste dinamiche, a decidere il voto, secondo le previsioni, saranno principalmente i temi economici, l’inflazione ampiamente fuori controllo e la cronica assenza di investimenti e lavoro. Mnangagwa ha spinto molto su questo, invocando l’aiuto degli investitori stranieri al recente vertice di Davos, in Svizzera, e dichiarando che lo Zimbabwe è “aperto per gli affari”. “Queste elezioni sono per lo Zimbabwe un’occasione senza precedenti pergli alettori dello Zimbabwe per scegliere colui che ritengono il più adatto ad avviare la ripresa economica, dopo decenni di governo autoritario, violento e predatorio da parte dell’ex presidente Robert Mugabe”, ha scritto questa settimana l’International Crisis Group.

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